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Danni in famiglia: l’amante deve risarcire il danno?

L’adulterio è una violazione del dovere di fedeltà coniugale e può essere motivo di addebito della separazione, se si dimostra che ha causato la frattura del matrimonio. Se poi la relazione extraconiugale viene condotta con modalità offensive della dignità del coniuge, può essere ragione di risarcimento dei danni.

In questo caso, non c’è dubbio che chi viene tradito possa chiedere il risarcimento dei danni al marito o alla moglie fedifraghi. Ma può chiedere il risarcimento dei danni anche all’amante del coniuge? Dopo tutto, l’amante con il suo comportamento contribuisce alla crisi coniugale. Può quindi essere considerato a sua volta responsabile legalmente dei danni subiti dal coniuge tradito?

Con la sentenza n. 156 del 29 marzo 2022 la Corte d’Appello di Perugia ha affrontato un caso emblematico.

La vicenda

I fatti esaminati dai giudici umbri riguardano una richiesta di risarcimento danni presentata dal marito nei confronti della moglie, dalla quale nel frattempo si era separato, e dell’amante di lei.

Il marito, in particolare, aveva chiesto 600.000,00 euro di risarcimento, di cui 200.000,00 per sé e 200.000,00 per ciascuno per i due figli minori avuti dalla moglie.

Secondo l’uomo, il tradimento delle moglie era stato la causa della separazione e della disgregazione della famiglia. Egli sosteneva, poi, che la moglie e l’amante di lei avevano avuto comportamenti lesivi della sua dignità e del suo onore: i due avevano, tra l’altro, pubblicato sui social post nei quali lo offendevano e, con riferimenti allusivi alla sua persona, si prendevano gioco di lui.

La decisione

La Corte d’Appello di Perugia ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni rivolta all’amante della moglie.

I giudici, in particolare, hanno escluso in capo all’amante ogni responsabilità, evidenziando che gli unici comportamenti illeciti sono ascrivibili alla moglie che ha tradito il marito, così violando l’obbligo di fedeltà.

L’amante della moglie, infatti, è una persona terza rispetto al matrimonio e non ha alcun obbligo nè dovere nei confronti del coniuge dell’altro, anzi è libero di esprimere il proprio diritto di autodeterminazione e la sua personalità come crede opportuno, anche frequentando e intrattenendo una relazione con una persona sposata.

Recita la sentenza: non è ravvisabile in capo ai terzi un generico dovere di astensione dall’intrattenere rapporti con persone coniugate. L’amante deve dirsi libero di intrattenere relazioni interpersonali anche con persone sposate nell’esercizio del proprio diritto di autodeterminazione, del diritto alla libera esplicazione della personalità, nonché della propria libertà sessuale, costituzionalmente garantiti.

Insomma, chiedere i danni all’amante del coniuge contrasta con la Costituzione.

 

Genitori separati: a chi spetta l’Assegno Unico e Universale?

Secondo il tribunale di Bari, spetta al 100% al genitore convivente con i figli.

Più in particolare, con una sentenza pubblicata il 3 febbraio 2022 il tribunale di Bari ha stabilito che, in caso di genitori separati, le prestazioni erogate dall’INPS a tutela della famiglia devono andare in favore del genitore che ha la collocazione  dei figli.

Nella motivazione della sentenza, il tribunale richiama una sentenza della Corte di cassazione secondo cui il legislatore nella normativa in materia di assegni familiari ha inteso favorire il coniuge affidatario dei figli e sancito il diritto di quest’ultimo a percepire gli assegni familiari indipendentemente da chi sia titolare del rapporto di lavoro posto alla base dell’erogazione. Applicando questo principio – afferma il tribunale di Bari – anche l’assegno unico, che ha preso il posto degli assegni per il nucleo familiare, spetta per intero al genitore convivente coi figli.

Attenzione, però: si tratta soltanto di una interpretazione.

Le indicazioni dell’INPS

Qualche giorno fa, l’INPS si è espressa in senso diametralmente opposto: infatti, con il messaggio n. 1714 del 20 aprile 2022 l’INPS ha chiarito i principi che presiedono l’attribuzione dell’Assegno Unico e Universale in favore dei minorenni ai genitori separati.

Le regole variano a seconda del tipo di affidamento e sono le seguenti:

In caso di affidamento condiviso

Il principio generale è che l’Assegno Unico e Universale viene erogato al 50% ciascuno ai genitori che hanno l’affidamento condiviso dei figli.

Tuttavia, resta salva la facoltà dei genitori di concordare che il contributo venga erogato per intero solo a uno dei due.

Dunque, i genitori possono accordarsi nel senso che l’assegno spetti per intero al genitore che ha la collocazione prevalente dei figli. Ma attenzione: devono essere entrambi d’accordo! Se uno dei due dice di no, l’assegno viene attribuito in automatico al 50%.

In caso di affidamento esclusivo

L’assegno viene sempre erogato per intero al genitore che ha l’affidamento esclusivo.

Se lo ha stabilito il giudice

Inoltre, se il giudice, nel provvedimento che disciplina la separazione di fatto, legale o il divorzio dei genitori, ha disposto che dei contributi pubblici usufruisca uno solo dei genitori, l’assegno viene sempre erogato a un solo genitore, a prescindere dal tipo di affidamento, .

Cosa fare se la domanda presentata da un genitore non rispetta le regole?

Se un genitore ha presentato la domanda chiedendo l’attribuzione al 100% in violazione delle regole di cui sopra, l’altro genitore  può presentare all’INPS istanza di revisione della domanda, allegando la documentazione a sostegno della sua richiesta (ad esempio, il provvedimento del tribunale che dispone l’affidamento condiviso).

 

Se il marito resta senza lavoro deve continuare a pagare l’assegno di mantenimento alla moglie?

Sì, ma solo se permane un divario tra le condizioni economiche dei coniugi.  Se il reddito del marito rimane superiore a quello della moglie, l’assegno va ridotto, ma non eliminato.

 

Le regole della separazione e del divorzio possono cambiare

Le disposizioni economiche della separazione e del divorzio non sono immutabili nel tempo, ma possono cambiare se cambiano i redditi e il patrimonio dei coniugi o degli ex coniugi.

Pertanto, quando il coniuge tenuto al versamento dell’assegno peggiora la propria condizione economica può rivolgersi al giudice per ottenere la revisione di quanto stabilito nella separazione, domandando la riduzione o l’eliminazione dell’assegno.

Il giudice dovrà rivalutare la condizione economica di entrambi i coniugi e verificare quale sia l’assetto attuale e quanto il cambiamento abbia inciso sulle condizioni economiche delle parti.

Il cambiamento, per fondare la modifica delle precedenti prescrizioni, deve essere rilevante e stabile. Non basta un cambiamento temporaneo o con effetti limitati nel tempo

 

Se il marito perde il lavoro …

In un recente caso esaminato dalla Corte d’appello di Milano il marito ha chiesto la modifica delle condizioni di separazione dichiarando che la società di cui era amministratore aveva cessato l’attività e di essere pertanto rimasto privo delle relative entrate. Al momento della separazione egli percepiva compensi come amministratore della società e una pensione. Con l’estinzione della società, gli era rimasta solo la pensione.

Alla luce del peggioramento delle sue condizioni economiche, il marito ha chiesto che venisse tolto l’assegno di 2.000,00 € per il mantenimento della moglie previsto al momento della separazione.

I giudici hanno ribadito che la modifica delle condizioni reddituali dei coniugi incide sulle regole relative al mantenimento e consente di rimodulare l’assegno, ma non lo fa venire meno automaticamente.

Nel caso specifico, hanno ritenuto che fosse comunque necessario riconoscere un contributo alla moglie, perché, anche se il marito aveva peggiorato la sua condizione finanziaria, rimaneva comunque un sensibile divario nell’assetto economico dei coniugi. Se il marito si era impoverito, la moglie se la passava peggio, in quanto del tutto priva di redditi.

L’assegno per la moglie è stato così ridotto a 500 € mensili, ma non è stato eliminato.

 

Fonte: Corte d’appello di Milano decreto 27 ottobre 2021

assegnazione casa familiare

Fino a quando dura l’assegnazione della casa familiare?

L’assegnazione della casa familiare è un provvedimento finalizzato a proteggere i figli minorenni ed a consentire loro di continuare a vivere, anche dopo la separazione dei genitori, nel medesimo habitat, nell’ambiente domestico che loro identificano come “casa”, dove hanno i loro oggetti e le loro abitudini.
L’assegnazione prescinde dal diritto di proprietà e non lo intacca, ma va a costituire un diritto personale di godimento sulla casa familiare in favore del genitore convivente con i figli minorenni, che ha, pertanto, il diritto di abitare l’immobile. In altre parole, il proprietario della casa rimane tale, ma la disponibilità dell’immobile viene vincolata all’interesse dei figli ed al loro di diritto di crescere in modo equilibrato e sereno.

L’assegnazione della casa familiare corrisponde, peraltro, ad una modalità diretta di mantenimento dei figli e quando è di proprietà di uno dei genitori o di entrambi, va considerata anche ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento, in quanto comporta un risparmio di spese abitative per il genitore assegnatario.

Se si tratta di immobile in locazione, l’assegnatario subentra in automatico nel contratto di locazione in essere, assumendo gli obblighi del conduttore.

E se i figli sono maggiorenni?

L’assegnazione della casa familiare va disposta anche quando i figli sono maggiorenni non economicamente autosufficienti.

In presenza di figli maggiorenni, però, la funzione dell’assegnazione cambia: il provvedimento di assegnazione non protegge più il diritto del figlio a crescere in modo equilibrato e sereno, dato che il raggiungimento della maggiore età corrisponde all’ingresso nell’età adulta, ma tutela le esigenze concrete di vita del figlio che non abbia ancora completato il proprio percorso di autonomia economico-patrimoniale.

Dunque, in presenza di figli maggiorenni il provvedimento di assegnazione della casa familiare ad uno dei genitori è possibile soltanto se il figlio
non è indipendente economicamente e
convive con uno dei genitori (cui, appunto, verrà assegnata la casa familiare).

Quando viene meno l’assegnazione?

Il provvedimento di assegnazione della casa familiare viene meno nei seguenti casi:

– se l’assegnatario vi rinuncia;

– quando il figlio diventa economicamente autonomo (se sono più di uno, quando l’ultimo dei figli diventa indipendente);

– quando il figlio, anche se non indipendente dal punto di vista economico, si trasferisce a vivere stabilmente altrove. Nel caso in cui il trasferimento sia dovuto a ragioni di studio (ad esempio, il figlio che va a studiare in altra città), le situazioni vanno valutate caso per caso, ma in via prevalente si ritiene che l’assegnazione debba rimanere in vita fino a che non si interrompe in maniera stabile il rapporto con l’abitazione.

E se non ci sono figli? La casa coniugale può essere assegnata ad uno dei coniugi?

La giurisprudenza ha chiarito che l’assegnazione della casa familiare può essere disposta soltanto in presenza di figli minorenni o di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti.

Pertanto, è escluso che l’assegnazione della casa coniugale possa essere applicata alle coppie senza figli, anche nel caso in cui ci sia notevole divario tra le condizioni economiche dei coniugi e l’uso della casa possa assumere una funzione riequilibratice del divario nell’assetto economico dei coniugi.

Certamente, in sede di separazione personale i coniugi che non hanno figli sono liberi di regolare l’utilizzo della casa, prevedendo che uno dei due vi rimanga a vivere a titolo gratuito, ma è necessario che siano entrambi d’accordo (separazione consensuale). Se non sono d’accordo ed avviano una separazione giudiziale, il Tribunale non potrà disporre l’assegnazione della casa coniugale in favore di uno dei due, in quanto, per legge, l’assegnazione è prevista soltanto a tutela dei figli.

Separazione e divorzio a confronto

1. Che differenza c’è tra separazione e divorzio?

Separazione personale e divorzio sono due istituti giuridici diversi. La separazione è un passaggio necessario per poter chiedere il divorzio.

Con la separazione si allenta il vincolo del matrimonio, in particolare vengono meno alcuni doveri tipici del matrimonio, in particolare il dovere di convivenza e il dovere di fedeltà. Altri doveri coniugali si allentano: il dovere di assistenza materiale, ad esempio, rimane vivo nel caso ci sia una differenza tra le condizioni economiche dei coniugi.

Con la separazione i coniugi vengono autorizzati a vivere separati e possono smettere di vivere sotto lo stesso tetto.

Se i coniugi sono in regime di comunione legale, con la separazione cessa la comunione legale.

La separazione però non fa venir meno il matrimonio: due persone separate restano comunque sposate, e pertanto non possono sposarsi in seconde nozze e sono l’una erede dell’altra, allo stesso modo dei coniugi non separati.

Il vincolo matrimoniale viene meno soltanto con il divorzio: il divorzio scioglie il matrimonio, consente ai coniugi di riacquistare lo stato civile libero, perciò di potersi risposare, e fa venir meno i diritti ereditari reciproci.

 

2. Quando posso chiedere la separazione?

Si può chiedere la separazione quando la crisi coniugale è irreversibile e si ritiene di non poter proseguire la convivenza matrimoniale. Si tratta di una scelta molto personale e soggettiva.

 

3. Quando posso chiedere il divorzio?

Per chiedere il divorzio è necessario che siano passati almeno sei mesi dalla separazione, se consensuale.

Se la separazione è stata giudiziale, deve passare almeno un anno dalla prima udienza. Si può chiedere il divorzio anche se la causa di separazione è ancora pendente, ma è necessario che sia stata emessa una sentenza non definitiva di separazione.

 

4. Che differenza c’è tra separazione consensuale e separazione giudiziale?

Separazione consensuale e giudiziale sono solo le due modalità per arrivare alla separazione legale.

La separazione consensuale è possibile quando i coniugi raggiungono un accordo sulle regole della loro separazione e stabiliscono assieme l’assetto della loro vita da separati, decidendo, ad esempio, chi resterà nella casa familiare, con chi staranno i figli, in che modo provvedere al mantenimento dei figli, ecc.

La separazione consensuale richiede la capacità dei coniugi di confrontarsi e trovare assieme una soluzione condivisa.

Una volta trovato, l’accordo dev’essere formalizzato mediante un provvedimento del tribunale ovvero, senza passare in tribunale, mediante un accordo di negoziazione assistita, cioè un vero e proprio contratto, sottoscritto alla presenza degli avvocati, che regolamenta la separazione.

La separazione giudiziale, invece, è una vera e propria causa davanti al tribunale, al quale si ricorre quando non è possibile trovare un accordo consensuale.

 

5. Che differenza c’è tra divorzio consensuale e giudiziale?

Anche il divorzio, come la separazione, può seguire una procedura consensuale o giudiziale.

Il divorzio consensuale richiede l’accordo dei coniugi sulle condizioni del divorzio.

L’accordo può essere formalizzato mediante il ricorso al tribunale: il tribunale, sentiti i coniugi in un’unica udienza, decide in camera di consiglio ed emette la sentenza di divorzio. Una volta che la sentenza è diventata definitiva, il divorzio è efficace anche ai fini dello stato civile. Da quel momento è possibile passare a nuove nozze.

Come la separazione, anche il divorzio consensuale si può fare mediante un accordo di negoziazione assistita, cioè un contratto firmato davanti agli avvocati. La procedura di negoziazione assistita non richiede la comparizione dei coniugi in tribunale, ma ci sono una serie di adempimenti che svolgono gli avvocati. Con la negoziazione assistita il divorzio è efficace dalla data della firma dell’accordo.

Quando non è possibile trovare un accordo sulle condizioni del divorzio, è necessario rivolgersi al tribunale con un ricorso per divorzio giudiziale, dando così avvio a una vera e propria causa.

 

6. Che cosa viene deciso nella separazione?

Gli aspetti che vengono decisi nella separazione sono vari.

Se ci sono figli, nella separazione dev’essere deciso il loro affidamento e la loro collocazione abitativa, cioè con quale genitore manterranno la residenza anagrafica, i tempi di permanenza presso l’altro genitore, le modalità con cui ciascun genitore contribuirà al mantenimento dei figli.

Inoltre, si decidono le sorti della casa familiare: quando ci sono figli, la casa viene assegnata al coniuge che ha con sé i figli in via prevalente. Assegnazione vuol dire che il coniuge ha diritto di rimanere a vivere nella casa coniugale, anche se non è di sua proprietà, fino a che i figli non raggiungono l’indipendenza economica.
In assenza di figli, si dovrà stabilire chi resterà a vivere nella casa.

Nella separazione, inoltre, si deve regolare il contributo al mantenimento del coniuge, se ve ne sono i presupposti. In generale, l’assegno per il coniuge viene stabilito quando c’è una differenza significativa tra i redditi dei coniugi.

Nella separazione giudiziale, può essere discussa anche la domanda di addebito della separazione, cioè l’accertamento che le ragioni della crisi familiare sono state determinate dal comportamento di uno dei due coniugi. Questo accade, ad esempio, nel caso in cui la separazione sia stata causata da maltrattamenti o dall’adulterio.

 

7. Che cosa viene deciso nel divorzio?

Nel divorzio viene disposto lo scioglimento del matrimonio e per il resto vengono esaminati gli stessi temi che abbiamo visto sopra per la separazione, tranne la domanda di addebito.

L’addebito, infatti, può essere chiesto solo nella separazione giudiziale. Nel divorzio non si torna più a discutere delle cause che hanno portato alla separazione, a meno che le cause non siano ritenute rilevanti ai fini della domanda di assegno divorzile.

Anche sotto il profilo economico ci sono alcune differenze tra l’assegno di mantenimento del coniuge che viene stabilito nella separazione e l’assegno di divorzio. L’assegno divorzile, vale a dire l’assegno che spetta al coniuge meno abbiente, si basa infatti su presupposti diversi dall’assegno di mantenimento del coniuge della separazione.

 

8. Le regole della separazione o del divorzio possono essere cambiate?

Le regole fissate nella separazione e nel divorzio non restano fisse nel tempo e possono essere cambiate ogni volta che intervengono fatti nuovi rilevanti che vanno ad incidere sull’assetto definito nella separazione o nel divorzio.

Si considerano rilevanti tutti gli eventi che riguardano la condizione lavorativa (ad esempio, la perdita del lavoro, il pensionamento, il passaggio ad un impiego più redditizio, ecc.) o la salute (ad esempio, l’invalidità sopravvenuta) o le nuove situazioni familiari dei coniugi (ad es. la convivenza stabile con un nuovo compagno, la nascita di un figlio) o ancora la crescita dei figli (ad es. il trasferimento all’estero, il raggiungimento dell’indipendenza economica, ecc.).

La modifica delle condizioni di separazione e divorzio non può essere concordata privatamente, ma richiede un atto formale, analogo a quello che si vuole modificare. Sarà dunque necessario un nuovo accordo ratificato dal tribunale o dagli avvocati nell’ambito della procedura di negoziazione assistita.

In mancanza di accordo, si può avviare in tribunale un apposito procedimento di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Si tratta di un procedimento che ha un iter veloce e una procedura semplificata.

 

9. Cosa devo fare se mio marito/mia moglie non si vuole separare?

Nel nostro ordinamento la separazione è un diritto, pertanto è sufficiente la volontà di uno solo dei coniugi.
Se l’altro non si vuole separare, si può comunque ottenere la separazione avviando il procedimento di separazione giudiziale.

 

10. Esiste la separazione per colpa?

Non c’è nel nostro ordinamento una separazione per colpa, ma è possibile chiedere nella separazione giudiziale che il tribunale accerti che la fine del matrimonio è stata causata dal comportamento di uno solo dei coniugi. Si tratta della domanda di addebito della separazione.

Serve a dimostrare che la causa della crisi coniugale è stata determinata dal comportamento di uno dei due coniugi che ha violato i doveri coniugali stabiliti dalla legge. I casi più frequenti riguardano l’adulterio (che integra violazione del dovere di fedeltà) e l’abbandono del tetto coniugale (il coniuge che va via di casa senza giusta causa viola il dovere di coabitazione).

L’addebito della separazione ha l’effetto di far venir meno il diritto all’assegno di mantenimento, se presente, e di far venir meno i diritti ereditari del coniuge cui la separazione viene addebitata. Inoltre, comporta la condanna al pagamento delle spese legali della causa di separazione.

 

11. Quanto dura una causa di separazione o di divorzio giudiziale?

La durata è quella di un procedimento giudiziale, in genere ci vogliono almeno due, tre anni per arrivare alla decisione conclusiva. Alle volte anche di più, dipende anche dalla tipologia degli accertamenti istruttori che vengono chiesti. Ad esempio, se viene richiesta una perizia sulle condizioni economiche dei coniugi, si devono considerare anche i tempi tecnici necessari per l’esecuzione dell’indagine.

In ogni caso, sia nella separazione che nel divorzio giudiziale, il tribunale già dalla prima udienza stabilisce regole provvisorie che disciplinano i rapporti tra i coniugi e con i figli. Queste regole possono sempre essere modificate nel corso del procedimento su richiesta dei coniugi e comunque possono essere modificate dalla sentenza che chiude il procedimento.

 

Recupero delle spese straordinarie per i figli: la Cassazione cambia le regole

Con una recentissima sentenza, la n. 40992 del 21 dicembre 2021 , la Cassazione ha stabilito che per il recupero delle spese straordinarie anticipate da uno dei genitori nell’interesse dei figli non è più necessario richiedere un decreto ingiuntivo, ma si può procedere direttamente con l’atto di precetto, allegando la documentazione di spesa.

Si tratta di una decisione importante che avalla un orientamento interpretativo già emerso in passato (v. Cassazione n. 4182/2016), anche se minoritario.

Cosa cambia in concreto?

Vediamolo assieme, partendo dalle basi.

Cosa sono le spese straordinarie per i figli?

Si tratta delle spese per i figli che riguardano la salute, la scuola, le attività sportive, i corsi, le vacanze studio e tutto ciò che non rientra nel mantenimento ordinario dei figli. Fanno parte del mantenimento ordinario le spese di vitto, alloggio, igiene personale, quali barbiere, parrucchiere, estetista e quanto necessario alle ordinarie esigenze di vita del figlio.

Quando i genitori si separano, si stabilisce che il genitore che non vive stabilmente con il figlio versi un importo fisso mensile per il mantenimento ordinario del figlio, mentre le spese straordinarie sono poste a carico di  entrambi i genitori, di norma in misura del 50% ciascuno.

Qual è la percentuale di contributo alle spese straordinarie?

Nella maggior parte dei casi, la percentuale di concorso alle spese straordinarie è del 50%. Il che significa che ciascun genitore è tenuto a provvedere a metà della spesa.

Ma la misura del contributo può variare in base alle condizioni economiche dei genitori: ad esempio, se c’è una notevole differenza tra i redditi, il genitore più ricco provvede in misura maggiore (al 60%, 70% o all’80% alle volte anche al 100%) rispetto all’altro genitore.

Come funziona in concreto?

Di solito un genitore anticipa la spesa, pagandola per intero, e poi si fa rimborsare la quota dovuta dall’altro genitore.

In quasi tutti i tribunali sono stati adottati documenti operativi, chiamati protocolli sulle spese straordinarie,  nei quali sono indicate le modalità concrete per la richiesta di rimborso: ad esempio, è stabilito che la richiesta va fatta  per iscritto allegando la documentazione di spesa e che il rimborso dev’essere effettuato entro un termine prestabilito (generalmente, entro 15 giorni dalla richiesta).

Il limite dei protocolli è che valgono solo per la zona di competenza territoriale (chiamata “circondario”) del tribunale in cui sono stati emessi, con la conseguenza che spostandosi anche di pochi chilometri (da Bologna a Ferrara, ad esempio) le regole cambiano sensibilmente.

Le spese straordinarie devono essere concordate dei genitori?

In linea generale, se è stato disposto l’affidamento condiviso si presume che i genitori siano in grado di portare avanti assieme un progetto educativo comune e, pertanto, che siano in grado di prendere assieme le decisioni migliori nell’interesse dei figli. La decisione alla base di una spesa, dunque, andrebbe sempre concordata.

Ma nella realtà non è sempre così. Specialmente nelle vicende familiari molto conflittuali succede che non sia sempre possibile concordare ogni singola spesa.

Se i genitori non si mettono d’accordo?

La Corte di Cassazione ha dettato alcune regole, stabilendo che alcune voci di spesa sono comunque dovute da entrambi i genitori, anche se decise da uno solo, ma nei tribunali non c’è uniformità di vedute.

Indubbiamente, ci sono alcune voci di spesa che non debbono necessariamente essere concordate dai genitori: si tratta di spese che non sono discutibili e che vanno in ogni caso pagate. Si pensi alle spese per i libri scolastici o l’abbonamento ai mezzi pubblici o l’assicurazione scolastica. Sono spese in qualche modo necessarie, che si considerano di per sé rispondenti all’interesse dei figli.

Sulle altre spese, invece, vengono in aiuto i protocolli adottati nei tribunali. Alcuni protocolli indicano espressamente quali tipi di spese debbano essere concordate e quali no, altri fissano un tetto massimo di spesa mensile, oltre il quale, a prescindere dalla tipologia di spesa, è in ogni caso necessario l’assenso di entrambi i genitori.

Cosa succede se l’altro genitore non paga?

Il genitore che ha anticipato la spesa ha diritto ad ottenere il rimborso della quota dovuta dall’altro genitore.

La giurisprudenza prevalente ha finora sostenuto che per poter chiedere il rimborso delle spese straordinarie non è sufficiente il provvedimento di separazione, divorzio o  comunque il provvedimento che regola il mantenimento dei figli, ma è necessario un ulteriore passaggio davanti al giudice.

Finora, serviva il decreto ingiuntivo

In concreto, per ottenere il pagamento delle spese straordinarie anticipate non basta la sentenza di separazione  o di divorzio o il decreto che disciplina il mantenimento dei figli, ma bisogna rivolgersi nuovamente al giudice, chiedendo l’emissione di una ingiunzione di pagamento (decreto ingiuntivo) e solo con questo nuovo provvedimento si può agire con il recupero forzato del credito mediante il pignoramento del conto corrente o dello stipendio, ad esempio.

Lo scopo di questo secondo passaggio davanti al giudice è tutelare la posizione del genitore che deve pagare, facendo in modo che le spese siano vagliate dall’autorità giudiziaria chiamata a  verificare che la richiesta di rimborso sia fondata, cioè che le spese siano state effettivamente sostenute nell’interesse dei figli.

Questa procedura però allunga notevolmente i tempi del recupero del credito, a danno del genitore che ha anticipato le spese. Il decreto ingiuntivo infatti può essere opposto, e ciò dà avvio ad una vera e propria causa, con la conseguenza che  il rimborso rimane sospeso, congelato fino alla fine della causa. E alle volte accade che l’opposizione venga avviata senza un reale fondamento giuridico, ma solo al fine di ritardare il più possibile il pagamento.

Ora la Cassazione sembra aver cambiato rotta: per semplificare l’iter del rimborso delle spese straordinarie non  pagate ha stabilito che la sentenza di separazione, divorzio o che regola il mantenimento dei figli è sufficiente e non serve più tornare in tribunale.

Cosa cambia con la recente decisione della Cassazione?

La recentissima decisione della Corte di Cassazione apre la strada ad una nuova modalità di rimborso, più veloce per chi ha anticipato la spesa e comunque tutelante per chi deve pagare.

Da un lato, il genitore che ha anticipato al spesa può subito chiedere il rimborso, senza doversi rivolgere nuovamente al giudice: con il provvedimento di separazione o divorzio o il provvedimento che regola il mantenimento dei figli si può predisporre l’atto di precetto con il conteggio delle spese anticipate e notificarlo all’altro genitore assieme alla documentazione delle spese anticipate. Decorsi dieci giorni dalla notifica, in mancanza di pagamento, si può procedere in  via esecutiva, mediante il pignoramento dello stipendio o del conto corrente, ad esempio.

Dall’altro, il genitore che riceve la notifica del precetto ha comunque la possibilità di tutelarsi, se le somme richieste non sono dovute, facendo opposizione al precetto.

Si può concludere che il decreto ingiuntivo d’ora in poi non servirà  più? In realtà è ancora presto per trarre conclusioni. Bisogna attendere le decisioni dei tribunali o un intervento della Cassazione a Sezioni Unite per capire se la modalità indicata nella recente sentenza della Cassazione diventerà quella prevalente.

 

Fonte:  Cass. Civ., Sez. III, sent. 21 dicembre 2021, n. 40992 – Pres. Vivaldi,

Se i genitori non sono d’accordo sulla scelta della scuola per il figlio, chi decide?

In una recente sentenza il Tribunale di Verona, di fronte al conflitto dei genitori sulla scelta della scuola media del figlio, ha deciso valorizzando la volontà dello stesso figlio.

La vertenza riguardava la scelta tra un istituto privato e un istituto pubblico.

Sentito dal giudice, il figlio ha espresso in maniera chiara e consapevole i suoi desideri: il minore ha riferito che nella scuola pubblica avrebbe potuto mantenere rapporti continuativi con alcuni dei compagni della scuola primaria, con i quali era in sintonia.

Inoltre, il ragazzino ha evidenziato che se fosse stata scelta la scuola pubblica avrebbe potuto andare a scuola da solo a piedi, così manifestando un desiderio di autonomia e indipendenza funzionale alla sua sana crescita.

La decisione del tribunale è pertanto ricaduta sulla scuola pubblica, anche poiché vicina all’abitazione del genitore con cui il minore trascorreva più tempo.

Fonte: Trib. Verona sent. 21.4.2021

Truffe affettive on line: per la vittima va nominato un amministratore di sostegno

Lo ha stabilito il Tribunale di Ravenna con la sentenza 4 febbraio 2021, affrontando il caso di una donna che tramite i social network era entrata in contatto con personaggi loschi che l’avevano raggirata e  convinta ad elargire in loro favore consistenti somme di danaro. La signora non era malata psichica. Tuttavia, era stata raggirata da persone senza scrupoli che avevano approfittato delle sue fragilità e della ridotta capacità critica e volitiva, ponendola nella condizione di non poter dire di no alle richieste di danaro.

Il marito e i figli della signora avevano chiesto al tribunale la nomina di un curatore a tutela della donna, mediante la procedura di inabilitazione.

L’inabilitazione è superata

L’inabilitazione è una forma di tutela delle persone con difficoltà psico-fisiche meno forte dell’interdizione.  L’interdizione priva del tutto la persona della capacità giuridica, mentre l’inabilitazione ha effetti meno invasivi: la persona soggetta a inabilitazione rimane capace di agire solo per gli atti più semplici, mentre dev’essere affiancata dal curatore per gli atti più complessi (atti di straordinaria amministrazione).

Per essere interdetta una persona dev’essere incapace di intendere e volere. Per l’inabilitazione non è necessario questo requistito.

Interdizione e inabilitazione sono oggi istituti giuridici vetusti e superati, com’è confermato dalla sentenza di cui parliamo.

Va preferita l’amministrazione di sostegno

Il tribunale ha rigettato la domanda di inabilitazione, ritenendo che la misura di protezione più adeguata sia l’amministrazione di sostegno.

L’amministrazione di sostegno, infatti, offre alle persone fragili uno strumento di assistenza che, sacrificando nella minor misura possibile la capacità di agire dell’interessato, è flessibile e si adatta alle effettive esigenza del destinatario, oltre ad avere una procedura più snella e agile.

L’amministrazione di sostegno più essere applicata anche a persone, come la vittima di truffe on line, che presenta delle fragilità psico-emotive, ma non così gravi da rientrare nelle patologie psichiatriche.

Inoltre, la nomina dell’amministratore di sostegno può essere anche a tempo determinato, cioè limitata al periodo necessario alla persona in difficoltà per recuperare le fragilità presenti al momento della nomina dell’amministratore di sostegno.

Per approfondire l’istituto dell’amministrazione di sostegno, clicca su questo articolo: L’amministratore di sostegno: cos’è, destinatari ed effetti.

 

Fonte: sentenza Tribunale di Ravenna 4.2.2021

Gli accordi economici della separazione vincolano il giudice del divorzio?

Separazione e divorzio sono due procedimenti distinti. Il giudice del divorzio decide autonomamente e non è vincolato da quanto stabilito nella separazione.

Se, ad esempio, nella separazione si prevede un assegno vita natural durante per la moglie. L’assegno verrà conservato anche al momento del divorzio? Dipende.

Il giudice potrebbe confermarlo, ma non vi è alcuna certezza.

Che peso hanno, allora, le regole economiche fissate nella separazione?

Indubbiamente le regole economiche definite nella separazione rappresentano un punto di riferimento dal quale il giudice del divorzio non può prescindere, ma non è tenuto necessariamente a confermarle. Il giudice infatti dovrà valutare la situazione presente in quel momento e decidere tenendo conto dei seguenti principi:

1 – nei procedimenti di diritto di famiglia il tribunale decide “rebus sic stantibus”.

Il giudice, cioè, decide tenendo conto della situazione in essere in quel momento.

Tra separazione e divorzio passa un po’ di tempo e redditi, condizione lavorativa e abitativa dei coniugi possono essere nel frattempo cambiati. Il giudice del divorzio deve valutare la situazione attuale e sulla base di quella può confermare o modificare le regole economiche definite nella separazione.

Se non è cambiato nulla, il giudice tendenzialmente confermerà l’assegno stabilito nella separazione.

Se invece è cambiata la condizione di entrambi o di uno solo dei due, è probabile che regole verranno riviste.

2 – l’assegno di divorzio è fondato su parametri diversi da quelli dell’assegno di mantenimento del coniuge nella separazione

Più esattamente, l’assegno di divorzio è finalizzato ad assicurare i mezzi di sostentamento al coniuge meno abbiente, a riequilibrare le condizioni economiche dei coniugi e a compensare economicamente il coniuge che ha sacrificato le sue aspirazioni lavorative per dedicarsi alla famiglia. L’assegno di mantenimento è invece finalizzato a consentire al coniuge di mantenere lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio.

Se per ottenere l’assegno di mantenimento nella separazione è sufficiente dimostrare un dislivello tra i redditi dei coniugi, la prova dei presupposti per l’assegno divorzile è un po’ più complicata. Non basta il dislivello tra i redditi dei coniugi, ma serve dimostrare che questo dislivello è stato causato dalle scelte fatte assieme dai coniugi durante il matrimonio e che uno dei due si è sacrificato per consentire all’altro di migliorare la propria condizione professionale ed economica.

3 – il nostro ordinamento vieta gli accordi tesi a regolare anticipatamente l’assetto del futuro divorzio

Si tratta dei “famosi” accordi prematrimoniali, vale a dire gli accordi con cui già prima del matrimonio si regola l’assetto della separazione o del divorzio, stabilendo, ad esempio, l’ammontare dell’assegno per il coniuge meno ricco, a chi andrà la casa, come verranno ripartiti i beni comuni, ecc. Consentiti da alcuni ordinamenti esteri, gli accordi prematrimoniali sono banditi in Italia.

Afferma la Cassazione: gli accordi con cui i coniugi regolano prima o durante il matrimonio o in sede di separazione le condizioni economiche del divorzio sono nulli, cioè del tutto invalidi e inefficaci.

La ragione di questa rigida posizione? Tutelare il coniuge più debole economicamente, cioè quello più esposto al rischio di trovarsi costretto a rinunciare all’assegno pur di ottenere in breve tempo il divorzio.

Attenzione dunque

Stabilire nella separazione l’assetto economico del futuro divorzio non dà alcuna certezza e non garantisce che tale assetto verrà effettivamente confermato al momento del divorzio. Basta che uno dei due coniugi cambi idea che tutto verrà messo in discussione.

E che non vi siano certezze è confermato anche dal caso, citato sopra, dell’assegno vita natural durante per la moglie.

L’assegno vita natural durante

La vicenda è questa:  nella separazione consensuale marito e moglie avevano diviso anche il patrimonio comune e si erano accordati nel senso che  il marito avrebbe versato alla moglie un assegno mensile per tutta la vita della medesima.

Arrivati al momento del divorzio, il marito cambia idea e sostiene di non doverle più nulla. Si va in causa.

Il tribunale conferma l’assegno per la moglie. Il marito impugna la decisione e la corte d’appello gli dà ragione: l’assegno non è dovuto, perchè nel frattempo le cose sono cambiate e l’accordo di separazione non può vincolare il giudice del divorzio.

La moglie ricorre in Cassazione e la Cassazione ribadisce il principio generale per cui gli accordi preventivi sul divorzio sono nulli, e dunque non possono vincolare automaticamente il giudice del divorzio, ma boccia comunque la decisione della corte d’appello. La Cassazione evidenzia, infatti, come nella particolare vicenda l’assegno per la moglie è conseguente anche alla divisione del patrimonio comune. Pertanto rinvia la causa alla Corte d’Appello per una rivalutazione del caso.

Si tratta, in effetti, di un caso molto particolare, nel quale l’assegno fissato nella separazione non  ha solo la funzione di assegno di mantenimento e futuro assegno di divorzio, ma rappresenta una sorta di rendita vitalizia.

La soluzione pertanto potrebbe essere anche di conferma dell’assegno, se l’assegno verrà qualificato come costituzione di una rendita (e non come assegno per il coniuge).

La decisione della Cassazione è contenuta nell’ordinanza n. 11012 del 26 aprile scorso. Vedremo cosa decideranno i giudici del rinvio.

 

Si può versare l’assegno di mantenimento direttamente al figlio maggiorenne?

La domanda non ha una risposta univoca.

Occorre prima di tutto tenere distinte due ipotesi fondamentali: il caso in cui la sentenza di separazione sentenza prevede il versamento diretto dell’assegno al figlio e il caso in cui la sentenza stabilisce che il pagamento del contributo per il figlio va fatto in favore del genitore convivente con il figlio (che di solito è la madre).

Esaminiamole nello specifico.

Se nella separazione è previsto espressamente il versamento diretto al figlio

Può accadere che, nel regolare la loro separazione, i coniugi si accordino prevedendo che al compimento della maggiore età del figlio il padre verserà l’assegno mensile, o una parte di esso, direttamente al figlio. In questo caso, una volta che il figlio avrà compiuto diciott’anni, il padre potrà tranquillamente versare l’assegno al figlio.

Il genitore separato, pertanto, può versare direttamente al figlio maggiorenne il contributo al suo mantenimento se questa modalità è prevista nei provvedimenti che regolano la separazione o il divorzio o il mantenimento del figlio di genitori non sposati.

Se nella separazione è previsto che l’assegno per il figlio va versato alla madre

Se invece, nei provvedimenti della separazione è previsto che l’assegno debba essere versato al genitore con lui convivente (di solito, la madre) si possono presentare due diversi scenari:

– la madre non è d’accordo per il versamento diretto al figlio:

In assenza di accordo tra i genitori, non è possibile il versamento diretto al figlio.

Infatti, il genitore convivente con il figlio è titolare del diritto di ricevere l’assegno e nel caso in cui non riceva nulla può agire in via esecutiva (con il pignoramento del conto corrente o dello stipendio, ad esempio) per recuperare le mensilità che non gli sono state corrisposte. E questo diritto può essere fatto valere anche nell’ipotesi in cui l’altro genitore abbia già versato le stesse mensilità dell’assegno direttamente al figlio.

– i genitori sono entrambi d’accordo per il versamento diretto al figlio:

Se invece i genitori separati si accordano tra di loro e convengono sul versamento diretto al figlio, occorre comunque fare molta attenzione.

Le decisioni giudiziali su questo tema non hanno, infatti, un orientamento univoco.

Alcune sentenze hanno ritenuto valido l’accordo tra i genitori separati che prevedeva il versamento diretto dell’assegno al figlio, così derogando le prescrizioni della loro separazione che stabilivano che il pagamento dell’assegno per il figlio andasse fatto mediante bonifico sul conto corrente della madre.

Tuttavia, non mancano decisioni che negano validità all’accordo tra i genitori.

In questo senso si è espressa recentemente la Corte di Cassazione con l’ordinanza 9700/2021 pubblicata lo scorso 13 aprile. Più in particolare, in questa ordinanza la Cassazione sostiene che l’accordo tra i genitori non è sufficiente ad autorizzare il padre a versare l’assegno direttamente al figlio maggiorenne, in quanto l’individuazione della madre quale beneficiario del versamento effettuata nella sentenza di separazione risponde ad un interesse superiore alla volontà delle parti. Interesse che non è modificabile mediante un semplice accordo privato, non ratificato dal tribunale.

In estrema sintesi: quanto stabilito nella sentenza prevale sulle successive manifestazioni di volontà dei genitori.

Pertanto, secondo questo orientamento, se la madre dapprima autorizza il versamento diretto al figlio, ma poi cambia idea e pretende il pagamento delle mensilità che non ha ricevuto, vi è il serio rischio di dover pagare due volte, una al figlio e l’altra alla madre.

Che cosa fare allora?

Per essere sicuri di poter pagare l’assegno direttamente al figlio maggiorenne ed evitare problemi serve un nuovo provvedimento con il medesimo peso giuridico della sentenza di separazione (o di divorzio o del decreto che regola i rapporti con il figlio nato da genitori non sposati).
In altre parole: è necessario modificare ufficialmente le regole vigenti sulle modalità di versamento dell’assegno, rivolgendosi nuovamente al tribunale oppure ricorrendo alla procedura della negoziazione assistita.

Fonte: Cassazione ordinanza n. 9700 del 13.4.2021