Mediazione Familiare: cos’è e come funziona

Esistono alternative che possono rendere il percorso della separazione meno doloroso e più costruttivo. Uno strumento sempre più riconosciuto nel panorama giuridico del diritto di famiglia è la mediazione familiare.

Che cos’è la mediazione familiare?

La mediazione familiare rappresenta un approccio consensuale alla risoluzione delle controversie familiari, coinvolgendo un mediatore che si pone in posizione neutra rispetto alle parti. Questo professionista facilita la comunicazione tra le parti, promuovendo un dialogo costruttivo e aiutando a raggiungere accordi soddisfacenti per entrambe le parti.

Quali vantaggi porta?

1. riduce lo stress emotivo: la mediazione offre un ambiente meno formale rispetto al tribunale, consentendo alle persone di affrontare le questioni in modo meno conflittuale, utilizzando un approccio che non riguarda soltanto i profili giuridici della separazione ma anche aspetti psicologici ed emotivi;

2. consente di risparmiare tempo e costi: a differenza di un procedimento contenzioso che può trascinarsi a lungo, la mediazione è più veloce e quando conduce ad un accordo consente di ridurre le spese legali;

3. conduce a soluzioni personalizzate: la flessibilità della mediazione consente alle parti di personalizzare le soluzioni, prendendo in considerazione le esigenze specifiche dei genitori e dei figli coinvolti;

4. preserva le relazioni familiari: la mediazione favorisce la comunicazione costruttiva, contribuendo a preservare le relazioni familiari, specialmente quelle tra genitori e figli.

La mediazione familiare è obbligatoria?

No, nel nostro ordinamento non è obbligatorio svolgere la mediazione familiare prima di rivolgersi al tribunale. Si tratta di un percorso volontario, che necessariamente richiede l’assenso e la disponibilità delle parti a mettersi in discussione e ad avvicinarsi in modo costruttivo all’altro.

Quando dura la mediazione familiare?

La mediazione non ha una durata fissa, varia a seconda delle situazioni. In alcuni casi possono bastare una decina di incontri, in altri il percorso è più lungo.

Quando può essere avviata la mediazione familiare?

La mediazione familiare si configura come un’opzione accessibile in qualsiasi momento della crisi separativa, sia prima dell’inizio di un procedimento giudiziale che durante il suo svolgimento.

Negli ultimi anni, molti tribunali hanno adottato un approccio favorevole alla mediazione: al ricevimento di un ricorso giudiziale, invitano le parti coinvolte a considerare il percorso della mediazione, particolarmente nei mesi di attesa precedenti all’udienza. Questa modalità si basa sulla speranza che il periodo di attesa possa essere sfruttato per una riflessione più approfondita da parte della coppia, con il supporto di professionisti specializzati.

Inoltre, spesso accade che sia lo stesso giudice del procedimento in corso ad invitare le parti a ricercare una soluzione conciliativa davanti ad un mediatore familiare, nell’auspicio di ridurre la conflittualità e di poter definire la causa con un accordo raggiunto dai diretti interessati con l’aiuto del mediatore.

Altre volte, sono le stesse parti coinvolte che, dopo mesi di contenzioso giudiziale, decidono di prendere un percorso diverso. Richiedono al giudice la sospensione della causa, comunicando l’intenzione di intraprendere un tentativo di mediazione familiare.

La possibilità di avvalersi della mediazione familiare durante le diverse fasi del procedimento legale sottolinea la flessibilità di questo approccio e la sua adattabilità alle esigenze specifiche delle coppie coinvolte.

 

Separazione conviventi con figli: cosa fare?

A differenza delle persone sposate, le persone che convivono non hanno l’obbligo di avere un atto ufficiale che renda effettiva la separazione: quando il rapporto giunge al termine, è sufficiente interrompere la convivenza.

 

Quando ci sono figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti

Tuttavia, in presenza di figli la situazione è più delicata: infatti, i genitori conservano, anche dopo la fine dalla convivenza, l’obbligo di provvedere all’assistenza e al mantenimento dei figli, supportandoli economicamente e trascorrendo con loro tempo adeguato a mantenere e rafforzare il legame.

Pertanto, in presenza di figli è consigliabile disciplinare in modo formale i rapporti, al fine di evitare situazioni indefinite nelle quali la volontà di uno dei genitori possa diventare prevalente, creando probabili conflitti: avere regole definite sull’affidamento, il calendario delle visite ai figli, l’utilizzo della casa familiare e il mantenimento è il primo passo per creare un nuovo equilibrio e per dare stabilità ai figli.

 

Quali procedure?

La regolamentazione dei rapporti si può raggiungere in due modi:

1. mediante un accordo,

cioè definendo assieme le modalità di gestione dei figli, con il supporto dell’avvocato o di un mediatore familiare.

L’accordo può essere formalizzato innanzi al tribunale tramite un ricorso congiunto, nel quale sono specificate le regole che si chiede vengano ratificate. In questo caso, è sufficiente un solo avvocato per entrambi i genitori e si può scegliere di non comparire personalmente davanti al giudice.

In alternativa, l’accordo si può ufficializzare mediante la procedura di negoziazione assistita davanti a due avvocati, uno per ciascun genitore, senza necessità di passare dal tribunale.
Gli avvocati si occuperanno della redazione dell’accordo e di tutti gli incombenti formali necessari per dargli la stessa efficacia del provvedimento del tribunale;

2. mediante un procedimento contenzioso:

quando non è possibile raggiungere regole condivise, ciascuno dei genitori è libero di depositare un ricorso giudiziale, formulando le proprie domande e rimettendo la decisione al tribunale.

Una volta ricevuto il ricorso, il tribunale fissa l’udienza di discussione. Il ricorso viene quindi notificato all’altra parte, la quale avrà modo di formulare le proprie richieste prima dell’udienza. Entrambi gli ex conviventi potranno poi depositare ulteriori memorie prima di presentarsi davanti al giudice.
All’udienza, il giudice ascolterà entrambe le parti, proporrà una soluzione conciliativa che, qualora accettata da entrambe le parti, verrà trasferita in un provvedimento giudiziale definitivo.

Invece nel caso permanga il disaccordo tra gli ex conviventi, sarà il giudice a decidere, adottando le regole che riterrà meglio rispondenti all’interesse dei figli, garantendo così fin dall’immediato una regolamentazione provvisoria dei rapporti. Il giudizio poi proseguirà per gli approfondimenti istruttori (testimonianze, consulenza tecniche, indagini sui redditi) richiesti dalle parti e ritenuti opportuni dal giudice.

 

Ascolto del minore: un diritto fondamentale

Nel contesto dell’ascolto del minore nell’ambito dei procedimenti giudiziari, l’art. 473-bis.4 c.p.c. ha introdotto importanti cambiamenti, superando il vecchio art. 336-bis c.p.c. Oltre a considerare le difficoltà fisiche o psichiche del minore quali elementi ostativi all’ascolto, ora si tiene conto anche della sua volontà di non essere ascoltato.

La nuova disposizione conferma che l’ascolto del minore non è soltanto un elemento procedurale, ma un diritto fondamentale della persona del minore. È uno strumento cruciale per proteggere l’interesse del minore e fare in modo che le decisioni più importanti per la sua vita siano prese considerando la sua volontà e i suoi sentimenti.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, nella recente sentenza dell’11 dicembre 2023 n. 34560.

Il caso

La sentenza riguarda un caso di risarcimento del danno da fatto illecito in ambito familiare: la madre di un minore era stata condannata in primo grado e in appello a risarcire i danni provocati all’ex marito cui aveva impedito di vedere il figlio, danni quantificati nell’importo di circa 35.000,00 €.

La signora si rivolge quindi alla Corte di Cassazione lamentando un vizio di legittimità del procedimento, nel quale non era stato sentito il figlio minore, a suo avviso parte interessata alle vicende oggetto di causa.

La Corte d’Appello, in particolare, aveva respinto la richiesta sottolineando che l’audizione del figlio era superflua, poiché si trattava di un giudizio di risarcimento danni tra i genitori, e quindi di una lite che riguardava soltanto gli adulti, non direttamente il minore.

La decisione

La Cassazione ha respinto il ricorso della madre, sostenendo che il procedimento in questione non rientrava tra quelli in cui il minore dev’essere ascoltato, non trattandosi di un procedimento nel quale il figlio è a tutti gli effetti parte del processo e nel quale si decidono questioni che lo riguardano direttamente. Questa decisione riflette l’applicazione corretta delle normative che regolano l’ascolto del minore.

La pronuncia è molto interessante, poiché ricostruisce in modo dettagliato l’evoluzione dell’istituto dell’ascolto del minore e chiarisce che l’ascolto del minore è un elemento chiave per garantire un processo giusto e equo, tenendo conto dei suoi interessi specifici.

La natura giuridica dell’ascolto del minore

Il diritto all’ascolto del minore è stato rafforzato a livello internazionale e nazionale, riconoscendo la sua natura di diritto fondamentale.

In ambito nazionale già con la legge n. 219 del 2012 si è affermata la necessità di ascoltare il minore ultradodicenne nei procedimenti che lo riguardano.

Più di recente, la riforma entrata in vigore il 28 febbraio 2023, ha introdotto l’art. 473-bis.4 c.p.c. nel quale viene precisato che nella decisione sull’ascolto del minore si deve tenere conto anche della volontà del minore di non essere ascoltato.

Ciò conferma che l’ascolto del minore non è solo un incombente processuale, ma un diritto sostanziale: si tratta di una modalità tra le più rilevanti, di riconoscimento del diritto fondamentale del minore ad essere informato ed esprimere la propria opinione e le proprie opzioni nei procedimenti che lo riguardano, e gli consente dunque di partecipare alle decisioni relative alla sua sfera individuale, configurandosi come uno strumento di tutela e conseguimento del suo interesse nell’ambito del procedimento.

L’ascolto del minore è dunque un diritto fondamentale della persona del minore, uno strumento essenziale per garantire che le decisioni giuridiche tengano conto della volontà e dei sentimenti del minore.

 

Fonte: Corte di Cassazione sentenza n. 34560 dell’11 dicembre 2023.

Per il rilascio del passaporto non serve (più) il consenso dell’altro genitore

Il decreto legge n. 69/2023, entrato in vigore il 14 giugno 2023, ha cambiato le regole per ottenere il passaporto in Italia. In precedenza, in presenza di figli minorenni, per il rilascio e per il rinnovo del passaporto di uno dei genitori era sempre necessario il consenso dell’altro.

Ora non è più così: un genitore che vuole il rilascio o il rinnovo del suo passaporto non ha più bisogno del consenso dell’altro. Resta obbligatorio il consenso di entrambi i genitori o di chi ne ha la responsabilità soltanto per il rilascio del passaporto dei minorenni.

Cosa può fare l’altro genitore se non è d’accordo per il rilascio del passaporto?

Se uno dei genitori intende opporsi al rilascio o al rinnovo del passaporto dell’altro, deve presentare istanza al giudice, indicando le motivazioni a fondamento della domanda.

Il tribunale, nel rispetto del principio di proporzionalità e tenendo conto della normativa interna e internazionale in materia di responsabilità genitoriale, mantenimento e sottrazione internazionale di minori,  emette un divieto (inibitoria) quando vi è rischio reale che il genitore, recandosi all’estero, possa venire meno ai suoi doveri verso i figli. Se la richiesta viene accolta, il giudice stabilisce per quanto tempo rimarrà in vigore l’inibitoria, che comunque non può superare i due anni.

La richiesta dev’ essere presentata al tribunale nel luogo in cui il minore ha la residenza abituale. Se è già in corso una procedura legale tra le stesse persone, la richiesta va presentata al giudice di quella procedura. Se il minore vive all’estero, la richiesta va presentata al tribunale in Italia dove viveva prima o al tribunale nella zona in cui il minore è registrato all’AIRE.

La domanda di inibitoria può essere presentata anche dal Pubblico Ministero.

 

Fonte: Art. 20 del decreto legge n. 69 del 13 giugno 2023.

Il diritto alla bigenitorialità: fondamentale per lo sviluppo armonioso dei bambini

Il diritto alla bigenitorialità è un principio fondamentale nel contesto giuridico familiare, sottolinea l’importanza dell’interazione continua e positiva dei genitori nella vita dei propri figli.

Questo concetto si basa sull’idea che, quando possibile, entrambi i genitori dovrebbero essere coinvolti nella crescita e nell’educazione dei loro figli, promuovendo così uno sviluppo sano e armonioso.

Innanzitutto, è importante comprendere che la bigenitorialità non riguarda soltanto il tempo trascorso con i figli, ma anche la partecipazione attiva e responsabile nell’assumere le decisioni cruciali per il loro benessere. Questo diritto è sancito nel nostro ordinamento dall’art. 337 ter del codice civile, con l’obiettivo di garantire che entrambi i genitori abbiano l’opportunità di costruire un legame significativo con i propri figli, contribuendo così alla formazione di una solida base emotiva e psicologica.

La bigenitorialità è diritto dei minori anche nelle situazioni di separazione o divorzio. In tali circostanze, è essenziale superare le divergenze personali e concentrarsi sul bene superiore dei bambini. La legislazione in molti paesi promuove accordi di affidamento e custodia condivisa, incoraggiando la cooperazione tra i genitori per garantire che i figli possano mantenere relazioni significative con entrambi i genitori e con i parenti di entrambi i rami.

Studi psicologici sostengono l’importanza della presenza di entrambi i genitori nella vita di un bambino. La diversità di stili educativi, quando gestita in modo coeso, può arricchire l’esperienza di crescita del minore, offrendogli una prospettiva equilibrata del mondo. Inoltre, la presenza costante di entrambe le figure genitoriali può svolgere un ruolo chiave nel fornire un sostegno emotivo stabile, fondamentale per il benessere psicologico dei bambini.

Tuttavia, è cruciale sottolineare che la bigenitorialità non è sempre possibile o appropriata in tutte le situazioni. Ci sono casi in cui la presenza di uno dei genitori potrebbe rappresentare un rischio per il benessere del bambino, come in situazioni di abuso o negligenza o quando la conflittualità tra i genitori è talmente elevata da non consentire loro alcuna forma di dialogo costruttivo. In tali circostanze, il giudice può intervenire per proteggere il bambino, prendendo decisioni mirate a garantire la sua sicurezza.

Per garantire l’efficacia del diritto alla bigenitorialità, è fondamentale promuovere una cultura di rispetto reciproco tra genitori, incoraggiando la comunicazione aperta e la collaborazione nella presa di decisioni importanti per i figli. La mediazione familiare può rappresentare un valido strumento per risolvere dispute e conflitti, facilitando la creazione di accordi che tengano conto delle esigenze di tutti i membri della famiglia.

In conclusione, il diritto alla bigenitorialità è un pilastro essenziale nel garantire il benessere dei bambini. Quando entrambi i genitori sono coinvolti positivamente nella vita dei propri figli, si crea un ambiente favorevole allo sviluppo sano e armonioso dei bambini, promuovendo relazioni stabili e un futuro equilibrato.

Sì all’affidamento super-esclusivo al padre se la madre non frequenta i figli e rifiuta il dialogo con il padre

Con un recente decreto, il Tribunale di Ferrara ha accolto la domanda di un padre che chiedeva l’affidamento super-esclusivo dei figli poiché la madre dei minori aveva interrotto volontariamente ogni contatto con i figli per molti anni.

In un precedente procedimento tra le parti, i figli erano stati affidati in via condivisa e collocati presso il padre, con incarico al Servizio sociale di regolare i rapporti tra i minori e la madre. In seguito, però la madre non aveva mai ripreso i contatti con il Servizio e con i figli.

Dopo alcuni anni, quindi, il padre ha chiesto la modifica del vecchio decreto, fondando la domanda sull’assenza della madre dalla vita dei minori.

La pluriennale mancanza di rapporti con i figli è stata confermata in giudizio dalla madre, che l’attribuiva ad un malessere dovuto alle pregresse travagliate vicende familiari.

Nel corso del procedimento è stata disposta indagine mediante il Servizio sociale che ha dato conto delle buone capacità educative del padre, ha riferito del rifiuto della madre di incontrarlo e della richiesta della medesima che i rapporti tra i genitori venissero mediati dal servizio.

Da tale rifiuto il tribunale ha concluso per l’oggettiva impossibilità di una gestione condivisa dei figli e ha ritenuto rispondente all’interesse dei figli la previsione dell’affidamento esclusivo al padre, con facoltà per quest’ultimo di adottare ogni decisione relativa ai figli.

Si tratta, dunque, di un affidamento super-esclusivo, nel quale tutte le decisioni, anche quelle più importanti per la crescita dei figli, le decisioni di maggiore interesse, sono rimesse al genitore affidatario. L’affidatario ha la facoltà di condividerle con l’altro genitore, ma non è tenuto a farlo.

 

Fonte: Tribunale di Ferrara, decreto 1.7.2022

Genitori separati: a chi spetta l’Assegno Unico e Universale?

Secondo il tribunale di Bari, spetta al 100% al genitore convivente con i figli.

Più in particolare, con una sentenza pubblicata il 3 febbraio 2022 il tribunale di Bari ha stabilito che, in caso di genitori separati, le prestazioni erogate dall’INPS a tutela della famiglia devono andare in favore del genitore che ha la collocazione  dei figli.

Nella motivazione della sentenza, il tribunale richiama una sentenza della Corte di cassazione secondo cui il legislatore nella normativa in materia di assegni familiari ha inteso favorire il coniuge affidatario dei figli e sancito il diritto di quest’ultimo a percepire gli assegni familiari indipendentemente da chi sia titolare del rapporto di lavoro posto alla base dell’erogazione. Applicando questo principio – afferma il tribunale di Bari – anche l’assegno unico, che ha preso il posto degli assegni per il nucleo familiare, spetta per intero al genitore convivente coi figli.

Attenzione, però: si tratta soltanto di una interpretazione.

Le indicazioni dell’INPS

Qualche giorno fa, l’INPS si è espressa in senso diametralmente opposto: infatti, con il messaggio n. 1714 del 20 aprile 2022 l’INPS ha chiarito i principi che presiedono l’attribuzione dell’Assegno Unico e Universale in favore dei minorenni ai genitori separati.

Le regole variano a seconda del tipo di affidamento e sono le seguenti:

In caso di affidamento condiviso

Il principio generale è che l’Assegno Unico e Universale viene erogato al 50% ciascuno ai genitori che hanno l’affidamento condiviso dei figli.

Tuttavia, resta salva la facoltà dei genitori di concordare che il contributo venga erogato per intero solo a uno dei due.

Dunque, i genitori possono accordarsi nel senso che l’assegno spetti per intero al genitore che ha la collocazione prevalente dei figli. Ma attenzione: devono essere entrambi d’accordo! Se uno dei due dice di no, l’assegno viene attribuito in automatico al 50%.

In caso di affidamento esclusivo

L’assegno viene sempre erogato per intero al genitore che ha l’affidamento esclusivo.

Se lo ha stabilito il giudice

Inoltre, se il giudice, nel provvedimento che disciplina la separazione di fatto, legale o il divorzio dei genitori, ha disposto che dei contributi pubblici usufruisca uno solo dei genitori, l’assegno viene sempre erogato a un solo genitore, a prescindere dal tipo di affidamento, .

Cosa fare se la domanda presentata da un genitore non rispetta le regole?

Se un genitore ha presentato la domanda chiedendo l’attribuzione al 100% in violazione delle regole di cui sopra, l’altro genitore  può presentare all’INPS istanza di revisione della domanda, allegando la documentazione a sostegno della sua richiesta (ad esempio, il provvedimento del tribunale che dispone l’affidamento condiviso).

 

Gli accordi tra genitori separati sulle visite ai figli sono vincolanti per il giudice?

No, non lo sono. Il giudice può decidere anche diversamente da quanto concordato dai genitori, se ritiene che regole diverse siano meglio rispondenti all’interesse del figlio.
In tema di separazione personale dei coniugi e di divorzio, e anche con riferimento ai figli di genitori non sposati, il criterio fondamentale cui devono ispirarsi le decisioni dell’autorità giudiziaria riguardo ai figli è rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale dei figli. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1993 pubblicata il 24 gennaio 2022.
La norma di riferimento è l’articolo 337 ter del codice civile, che pone al centro dell’attenzione del giudice il figlio e il suo migliore interesse. Il tribunale, dunque, non è vincolato agli accordi tra i genitori sul calendario delle visite e può discostarsene per realizzare l’interesse del figlio. La decisione, però, va adeguatamente motivata: il giudice deve chiarire quali sono le specifiche ragioni per cui la soluzione proposta dai genitori non va bene per i figli.

Il caso: tribunale, prima, e corte d’appello, poi, avevano ridotto i giorni di competenza del padre

Il caso giunto all’attenzione della Cassazione riguardava una coppia di genitori non coniugati che, nel procedimento relativo alla regolamentazione dei rapporti con i figli davanti al tribunale di Bologna, aveva concordato l’affidamento condiviso dei figli, la loro collocazione abitativa con la madre e il tempo di permanenza dei figli minori con il padre. Il calendario condiviso prevedeva che il padre trascorresse con i figli sei giorni ogni due settimane.
Nonostante l’accordo, il tribunale aveva ridotto a cinque giorni ogni due settimane il periodo che i figli trascorrevano con il padre e la Corte d’appello aveva poi confermato tale decisione, senza tuttavia chiarire le motivazioni alla base di tale decisione.
Il padre, dunque, si era trovato costretto a rivolgersi alla Corte di Cassazione, contestando la nullità della decisione d’appello in quanto i giudici avevano deciso andando oltre le richieste delle parti.

La decisione però non era motivata e pertanto…

La Cassazione, dopo aver evidenziato che in tema di regolamentazione dei rapporti tra genitori e figli il giudice deve tener conto soltanto dell’interesse del minore, a prescindere dagli accordi tra i genitori, ha accolto la richiesta del padre, sottolineando che la decisione difforme dagli accordi tra i genitori dev’essere adeguatamente motivata. Nel caso esaminato né il tribunale né la corte d’appello avevano giustificato la previsione di un calendario difforme da quello chiesto dai genitori. Pertanto, la causa è stata rimessa alla causa alla Corte d’appello di Bologna per essere riesaminata.

Fonte: Cassazione, Sez. VI, ord. n. 1993 del 1-24 gennaio 2022

assegnazione casa familiare

Fino a quando dura l’assegnazione della casa familiare?

L’assegnazione della casa familiare è un provvedimento finalizzato a proteggere i figli minorenni ed a consentire loro di continuare a vivere, anche dopo la separazione dei genitori, nel medesimo habitat, nell’ambiente domestico che loro identificano come “casa”, dove hanno i loro oggetti e le loro abitudini.
L’assegnazione prescinde dal diritto di proprietà e non lo intacca, ma va a costituire un diritto personale di godimento sulla casa familiare in favore del genitore convivente con i figli minorenni, che ha, pertanto, il diritto di abitare l’immobile. In altre parole, il proprietario della casa rimane tale, ma la disponibilità dell’immobile viene vincolata all’interesse dei figli ed al loro di diritto di crescere in modo equilibrato e sereno.

L’assegnazione della casa familiare corrisponde, peraltro, ad una modalità diretta di mantenimento dei figli e quando è di proprietà di uno dei genitori o di entrambi, va considerata anche ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento, in quanto comporta un risparmio di spese abitative per il genitore assegnatario.

Se si tratta di immobile in locazione, l’assegnatario subentra in automatico nel contratto di locazione in essere, assumendo gli obblighi del conduttore.

E se i figli sono maggiorenni?

L’assegnazione della casa familiare va disposta anche quando i figli sono maggiorenni non economicamente autosufficienti.

In presenza di figli maggiorenni, però, la funzione dell’assegnazione cambia: il provvedimento di assegnazione non protegge più il diritto del figlio a crescere in modo equilibrato e sereno, dato che il raggiungimento della maggiore età corrisponde all’ingresso nell’età adulta, ma tutela le esigenze concrete di vita del figlio che non abbia ancora completato il proprio percorso di autonomia economico-patrimoniale.

Dunque, in presenza di figli maggiorenni il provvedimento di assegnazione della casa familiare ad uno dei genitori è possibile soltanto se il figlio
non è indipendente economicamente e
convive con uno dei genitori (cui, appunto, verrà assegnata la casa familiare).

Quando viene meno l’assegnazione?

Il provvedimento di assegnazione della casa familiare viene meno nei seguenti casi:

– se l’assegnatario vi rinuncia;

– quando il figlio diventa economicamente autonomo (se sono più di uno, quando l’ultimo dei figli diventa indipendente);

– quando il figlio, anche se non indipendente dal punto di vista economico, si trasferisce a vivere stabilmente altrove. Nel caso in cui il trasferimento sia dovuto a ragioni di studio (ad esempio, il figlio che va a studiare in altra città), le situazioni vanno valutate caso per caso, ma in via prevalente si ritiene che l’assegnazione debba rimanere in vita fino a che non si interrompe in maniera stabile il rapporto con l’abitazione.

E se non ci sono figli? La casa coniugale può essere assegnata ad uno dei coniugi?

La giurisprudenza ha chiarito che l’assegnazione della casa familiare può essere disposta soltanto in presenza di figli minorenni o di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti.

Pertanto, è escluso che l’assegnazione della casa coniugale possa essere applicata alle coppie senza figli, anche nel caso in cui ci sia notevole divario tra le condizioni economiche dei coniugi e l’uso della casa possa assumere una funzione riequilibratice del divario nell’assetto economico dei coniugi.

Certamente, in sede di separazione personale i coniugi che non hanno figli sono liberi di regolare l’utilizzo della casa, prevedendo che uno dei due vi rimanga a vivere a titolo gratuito, ma è necessario che siano entrambi d’accordo (separazione consensuale). Se non sono d’accordo ed avviano una separazione giudiziale, il Tribunale non potrà disporre l’assegnazione della casa coniugale in favore di uno dei due, in quanto, per legge, l’assegnazione è prevista soltanto a tutela dei figli.

Genitori separati e vacanze estive

L’estate, si sa, è il momento in cui si fanno le ferie, ci si riposa, si stacca la spina per ricaricare le pile. Tra genitori separati, tuttavia, l’organizzazione delle vacanza è spesso motivo di contrasto. Infatti non è sempre semplice gestire le diverse esigenze di ciascuno dei componenti della famiglia separata. I provvedimenti giudiziari sono di aiuto poiché disciplinano anche le modalità di gestione delle ferie, ma alle volte non è tutto chiaro. Ecco alcuni dei quesiti che mi vengono posti più di frequente.

Come organizzano le vacanze estive i genitori separati?

Nei provvedimenti che regolano la separazione, il divorzio o l’affidamento dei figli di genitori non sposati viene stabilito un calendario dei tempi di permanenza del figlio presso ciascuno dei genitori. Tale calendario disciplina specificamente anche il periodo estivo:  si stabilisce quanto tempo il figlio può trascorrere con ogni genitore per le vacanze estive e se il periodo debba essere concordato tra i genitori o solo comunicato dal genitore non convivente (al quale si tende a dare la priorità in quanto è il genitore che di norma trascorre meno tempo coi figli secondo il calendario ordinario).

Viene anche stabilito il termine entro il quale i rispettivi periodi di vacanza vanno concordati o comunicati (di solito entro fine aprile o fine maggio).

E se entrambi i genitori hanno le ferie nello stesso periodo?

In alcuni provvedimenti giudiziari è stabilito che in caso di disaccordo sui periodi di interesse di ciascun genitore, negli anni pari prevale un genitore e negli anni dispari l’altro.

Se manca una previsione simile e nessuno dei genitori vuole cedere, sarà necessario rivolgersi al Giudice per dirimere il conflitto.

Quanto durano le vacanze estive coi figli?

Non ci sono limiti di legge. Ogni situazione è a sé e ogni famiglia separata ha le sue esigenze e le sue abitudini. Molto dipende anche dall’età dei figli.

Nei provvedimenti viene stabilita la durata dei periodi di vacanza. Con figli in età scolare si prevedono in genere due o tre settimane con ciascun genitore, anche continuative. I periodi, però possono essere più lunghi, fino a dividere al 50% tra i genitori il periodo delle vacanze scolastiche estive.

Il mancato rispetto delle regole stabilite nel provvedimento giudiziale sui periodi di vacanza costituisce reato ai sensi dell’art. 388 c.p.

Devo comunicare all’ex dove andrò in vacanza coi miei figli?

Sì, vi è un preciso obbligo di informare l’altro genitore sul luogo in cui il figlio verrà condotto in vacanza e di fornire l’indirizzo esatto ed i recapiti telefonici.

La mancata comunicazione non integra reato penale, ma è rilevante in ogni caso sotto il profilo civilistico, poiché costituisce violazione dell’obbligo di collaborazione tra i genitori nell’interesse della prole e contrasta con i principi dell’affidamento condiviso.

La mancata comunicazione può essere punita ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c. con una sanzione amministrativa e col risarcimento del danno.

Chi paga le vacanze dei figli?

A meno che non sia stabilito diversamente nel provvedimento che regola la separazione dei genitori, ciascun genitore paga di tasca propria le spese delle sue vacanze coi figli.

Soltanto i costi delle vacanze che il figlio fa da solo per ragioni di studio o assieme agli amici, così come le spese dei soggiorni-studio all’estero rientrano nelle spese straordinarie da dividere al 50% tra i genitori. La decisione va previamente concordata.

Durante il periodo di vacanza posso non versare o ridurre l’assegno mensile?

No, non è possibile. La Cassazione ha chiarito in maniera univoca che l’assegno per il mantenimento dei figli va versato per intero anche nel mese in cui si trascorre un periodo di ferie con i figli.

Posso portare all’estero i miei figli?

Il genitore separato può portare i figli all’estero con sè senza necessità del consenso dell’altro genitore, a meno che nel provvedimento che regola la separazione o l’affidamento dei figli non sia espressamente stabilito che l’espatrio del figlio minorenne dev’essere previamente autorizzato dall’altro genitore o non sia stabilito un vero e proprio divieto di espatrio (che comunque richiede specifiche ragioni).

Per approfondire la questione del rilascio e rinnovo del passaporto o della carta di identità per l’espatrio si veda questo articolo: Rilascio del passaporto e conflitto tra genitori