Divorzio: quanto conta la convivenza prematrimoniale?

La convivenza prematrimoniale è sempre più riconosciuta non solo come una fase preparatoria al matrimonio, ma anche come un elemento significativo nelle decisioni relative al divorzio.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno infatti recentemente stabilito che la durata della convivenza precedente il matrimonio dev’essere tenuta in considerazione nella determinazione dell’assegno di divorzio, al pari della durata del rapporto matrimoniale vero e proprio, successivo alle nozze.
La decisione, di importanza storica, riflette il cambiamento dei costumi e riconosce l’importanza dei legami di fatto nella società contemporanea.

La valenza della convivenza prematrimoniale

Secondo la Corte di Cassazione, la convivenza prematrimoniale deve essere considerata quando si decide sull’assegno di divorzio e sulla sua quantificazione. Questo riconoscimento tiene conto delle convivenze di fatto come formazioni familiari e sociali di pari dignità rispetto a quelle matrimoniali. La legge sul divorzio del 1970, infatti, non contemplava la convivenza prematrimoniale, essendo quest’ultima molto rara all’epoca. Oggi, però, la realtà è cambiata e la convivenza prematrimoniale è diventata un fenomeno radicato nei comportamenti sociali.

Il contributo economico e le rinunce

La Suprema Corte ha ribadito che l’assegno di divorzio ha una natura assistenziale, perequativa e compensativa. Pertanto, nel decidere sull’assegno, il giudice deve considerare la convivenza prematrimoniale quando questa presenta connotati di stabilità e continuità e quando è basata su un progetto di vita comune che ha comportato reciproche contribuzioni economiche. È fondamentale valutare il contributo di ciascun partner alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale.

In particolare, il giudice deve verificare se la coppia durante la convivenza prematrimoniale abbia fatto scelte condivise che abbiano poi influenzato la vita matrimoniale. Queste scelte possono includere sacrifici o rinunce, specialmente in ambito lavorativo o professionale, del coniuge economicamente più debole, che può risultare incapace di disporre ai adeguate risorse economiche dopo il divorzio. Tali sacrifici o rinunce devono essere dimostrati e collegati causalmente alla situazione economica post-divorzio.

In conclusione

La convivenza prematrimoniale è ora riconosciuta come un elemento significativo nel determinare il diritto e l’ammontare dell’assegno di divorzio. Questo riconoscimento da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è un passo avanti nella tutela dei diritti dei conviventi e riflette un adeguamento dell’interpretazione giurisprudenziale ai cambiamenti sociali.
Per le coppie che decidono di convivere prima del matrimonio, è essenziale essere consapevoli delle implicazioni legali di questa scelta, e consultare un avvocato esperto della materia può fornire un supporto fondamentale per affrontare al meglio le eventuali future decisioni legali.

Fonte: Corte di Cassazione, Sez. Unite, sentenza n. 35385 del 18.12.2023

Mediazione Familiare: cos’è e come funziona

Esistono alternative che possono rendere il percorso della separazione meno doloroso e più costruttivo. Uno strumento sempre più riconosciuto nel panorama giuridico del diritto di famiglia è la mediazione familiare.

Che cos’è la mediazione familiare?

La mediazione familiare rappresenta un approccio consensuale alla risoluzione delle controversie familiari, coinvolgendo un mediatore che si pone in posizione neutra rispetto alle parti. Questo professionista facilita la comunicazione tra le parti, promuovendo un dialogo costruttivo e aiutando a raggiungere accordi soddisfacenti per entrambe le parti.

Quali vantaggi porta?

1. riduce lo stress emotivo: la mediazione offre un ambiente meno formale rispetto al tribunale, consentendo alle persone di affrontare le questioni in modo meno conflittuale, utilizzando un approccio che non riguarda soltanto i profili giuridici della separazione ma anche aspetti psicologici ed emotivi;

2. consente di risparmiare tempo e costi: a differenza di un procedimento contenzioso che può trascinarsi a lungo, la mediazione è più veloce e quando conduce ad un accordo consente di ridurre le spese legali;

3. conduce a soluzioni personalizzate: la flessibilità della mediazione consente alle parti di personalizzare le soluzioni, prendendo in considerazione le esigenze specifiche dei genitori e dei figli coinvolti;

4. preserva le relazioni familiari: la mediazione favorisce la comunicazione costruttiva, contribuendo a preservare le relazioni familiari, specialmente quelle tra genitori e figli.

La mediazione familiare è obbligatoria?

No, nel nostro ordinamento non è obbligatorio svolgere la mediazione familiare prima di rivolgersi al tribunale. Si tratta di un percorso volontario, che necessariamente richiede l’assenso e la disponibilità delle parti a mettersi in discussione e ad avvicinarsi in modo costruttivo all’altro.

Quando dura la mediazione familiare?

La mediazione non ha una durata fissa, varia a seconda delle situazioni. In alcuni casi possono bastare una decina di incontri, in altri il percorso è più lungo.

Quando può essere avviata la mediazione familiare?

La mediazione familiare si configura come un’opzione accessibile in qualsiasi momento della crisi separativa, sia prima dell’inizio di un procedimento giudiziale che durante il suo svolgimento.

Negli ultimi anni, molti tribunali hanno adottato un approccio favorevole alla mediazione: al ricevimento di un ricorso giudiziale, invitano le parti coinvolte a considerare il percorso della mediazione, particolarmente nei mesi di attesa precedenti all’udienza. Questa modalità si basa sulla speranza che il periodo di attesa possa essere sfruttato per una riflessione più approfondita da parte della coppia, con il supporto di professionisti specializzati.

Inoltre, spesso accade che sia lo stesso giudice del procedimento in corso ad invitare le parti a ricercare una soluzione conciliativa davanti ad un mediatore familiare, nell’auspicio di ridurre la conflittualità e di poter definire la causa con un accordo raggiunto dai diretti interessati con l’aiuto del mediatore.

Altre volte, sono le stesse parti coinvolte che, dopo mesi di contenzioso giudiziale, decidono di prendere un percorso diverso. Richiedono al giudice la sospensione della causa, comunicando l’intenzione di intraprendere un tentativo di mediazione familiare.

La possibilità di avvalersi della mediazione familiare durante le diverse fasi del procedimento legale sottolinea la flessibilità di questo approccio e la sua adattabilità alle esigenze specifiche delle coppie coinvolte.

 

Separazione e divorzio insieme: oggi è possibile

Tra le più importanti novità introdotte dalla Riforma Cartabia vi è la possibilità di richiedere il divorzio insieme alla separazione.

In passato, il procedimento di divorzio poteva essere avviato soltanto a distanza di un certo tempo dalla separazione, e più esattamente dopo sei mesi, se la separazione era consensuale, o dopo un anno, in caso di separazione giudiziale. Ora invece separazione e divorzio possono formare oggetto del medesimo procedimento ed essere trattate dallo stesso giudice.
Lo prevede espressamente il nuovo art. 473 bis.49 del codice di procedura civile.

La norma di riferimento

Secondo tale norma al momento di avvio del procedimento di separazione si può chiedere anche la pronuncia del divorzio (in gergo tecnico, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, a seconda del rito di celebrazione delle nozze).
La regola è prevista per le separazioni giudiziali, vale a dire quelle che vedono le parti in contrasto tra di loro sulle condizioni dell’assetto separativo (a titolo esemplificativo, sull’assegnazione della casa, sulla gestione dei figli o sul mantenimento).

Cosa accade in caso di separazione consensuale?

L’ipotesi di separazione consensuale non è contemplata dalla norma e pertanto la possibilità di separarsi e divorziare consensualmente nello stesso procedimento è una questione aperta.

Vari tribunali italiani si sono pronunciati sul tema, adottando però soluzioni diverse. Alcuni tribunali (Genova e Milano, ad esempio) applicano in senso estensivo l’art. 473 bis.19 del codice di procedura civile e consentono il cumulo di separazione e divorzio anche nei ricorsi consensuali.
Altri (tra cui Ferrara e Bari) non lo consentono: tale posizione restrittiva, frutto di una interpretazione letterale della nuova norma, si rifà all’orientamento interpretativo della Corte di Cassazione che da sempre ritiene nulli e invalidi i patti prematrimoniali e gli accordi di divorzio preventivi.
Di recente, il Tribunale di Treviso ha rimesso a questione alla Corte di Cassazione, la quale potrà chiarire la questione.

Quali sono i vantaggi del cumulo di separazione e divorzio?

Il principale vantaggio è evitare la duplicazione dei procedimenti, considerato che spesso le questioni oggetto della causa di separazione coincidono con quelle oggetto del divorzio. Accorpando i due procedimenti si risparmia tempo e si può ottenere più velocemente una regolamentazione definitiva dei rapporti.

Attenzione però: la riforma Cartabia non ha abrogato la norma che stabilisce che in caso di separazione giudiziale debba decorrere un anno dalla prima udienza della separazione per poter chiedere il divorzio. Pertanto, anche in caso di cumulo della domanda di separazione e divorzio, occorrerà attendere un anno dalla prima udienza della causa affinchè il tribunale possa emettere la sentenza di divorzio.

E’ obbligatorio chiedere insieme separazione e divorzio?

No, si tratta di una facoltà. La scelta va fatta assieme al proprio avvocato, tenendo conto delle caratteristiche della specifica vicenda familiare, degli obbiettivi che si vogliono ottenere e della miglior tutela dei propri diritti e interessi.
Non sempre, infatti, può essere opportuno presentare la domanda di divorzio insieme alla separazione.

Gli accordi tra genitori separati sulle visite ai figli sono vincolanti per il giudice?

No, non lo sono. Il giudice può decidere anche diversamente da quanto concordato dai genitori, se ritiene che regole diverse siano meglio rispondenti all’interesse del figlio.
In tema di separazione personale dei coniugi e di divorzio, e anche con riferimento ai figli di genitori non sposati, il criterio fondamentale cui devono ispirarsi le decisioni dell’autorità giudiziaria riguardo ai figli è rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale dei figli. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1993 pubblicata il 24 gennaio 2022.
La norma di riferimento è l’articolo 337 ter del codice civile, che pone al centro dell’attenzione del giudice il figlio e il suo migliore interesse. Il tribunale, dunque, non è vincolato agli accordi tra i genitori sul calendario delle visite e può discostarsene per realizzare l’interesse del figlio. La decisione, però, va adeguatamente motivata: il giudice deve chiarire quali sono le specifiche ragioni per cui la soluzione proposta dai genitori non va bene per i figli.

Il caso: tribunale, prima, e corte d’appello, poi, avevano ridotto i giorni di competenza del padre

Il caso giunto all’attenzione della Cassazione riguardava una coppia di genitori non coniugati che, nel procedimento relativo alla regolamentazione dei rapporti con i figli davanti al tribunale di Bologna, aveva concordato l’affidamento condiviso dei figli, la loro collocazione abitativa con la madre e il tempo di permanenza dei figli minori con il padre. Il calendario condiviso prevedeva che il padre trascorresse con i figli sei giorni ogni due settimane.
Nonostante l’accordo, il tribunale aveva ridotto a cinque giorni ogni due settimane il periodo che i figli trascorrevano con il padre e la Corte d’appello aveva poi confermato tale decisione, senza tuttavia chiarire le motivazioni alla base di tale decisione.
Il padre, dunque, si era trovato costretto a rivolgersi alla Corte di Cassazione, contestando la nullità della decisione d’appello in quanto i giudici avevano deciso andando oltre le richieste delle parti.

La decisione però non era motivata e pertanto…

La Cassazione, dopo aver evidenziato che in tema di regolamentazione dei rapporti tra genitori e figli il giudice deve tener conto soltanto dell’interesse del minore, a prescindere dagli accordi tra i genitori, ha accolto la richiesta del padre, sottolineando che la decisione difforme dagli accordi tra i genitori dev’essere adeguatamente motivata. Nel caso esaminato né il tribunale né la corte d’appello avevano giustificato la previsione di un calendario difforme da quello chiesto dai genitori. Pertanto, la causa è stata rimessa alla causa alla Corte d’appello di Bologna per essere riesaminata.

Fonte: Cassazione, Sez. VI, ord. n. 1993 del 1-24 gennaio 2022

Separazione e divorzio a confronto

1. Che differenza c’è tra separazione e divorzio?

Separazione personale e divorzio sono due istituti giuridici diversi. La separazione è un passaggio necessario per poter chiedere il divorzio.

Con la separazione si allenta il vincolo del matrimonio, in particolare vengono meno alcuni doveri tipici del matrimonio, in particolare il dovere di convivenza e il dovere di fedeltà. Altri doveri coniugali si allentano: il dovere di assistenza materiale, ad esempio, rimane vivo nel caso ci sia una differenza tra le condizioni economiche dei coniugi.

Con la separazione i coniugi vengono autorizzati a vivere separati e possono smettere di vivere sotto lo stesso tetto.

Se i coniugi sono in regime di comunione legale, con la separazione cessa la comunione legale.

La separazione però non fa venir meno il matrimonio: due persone separate restano comunque sposate, e pertanto non possono sposarsi in seconde nozze e sono l’una erede dell’altra, allo stesso modo dei coniugi non separati.

Il vincolo matrimoniale viene meno soltanto con il divorzio: il divorzio scioglie il matrimonio, consente ai coniugi di riacquistare lo stato civile libero, perciò di potersi risposare, e fa venir meno i diritti ereditari reciproci.

 

2. Quando posso chiedere la separazione?

Si può chiedere la separazione quando la crisi coniugale è irreversibile e si ritiene di non poter proseguire la convivenza matrimoniale. Si tratta di una scelta molto personale e soggettiva.

 

3. Quando posso chiedere il divorzio?

Per chiedere il divorzio è necessario che siano passati almeno sei mesi dalla separazione, se consensuale.

Se la separazione è stata giudiziale, deve passare almeno un anno dalla prima udienza. Si può chiedere il divorzio anche se la causa di separazione è ancora pendente, ma è necessario che sia stata emessa una sentenza non definitiva di separazione.

 

4. Che differenza c’è tra separazione consensuale e separazione giudiziale?

Separazione consensuale e giudiziale sono solo le due modalità per arrivare alla separazione legale.

La separazione consensuale è possibile quando i coniugi raggiungono un accordo sulle regole della loro separazione e stabiliscono assieme l’assetto della loro vita da separati, decidendo, ad esempio, chi resterà nella casa familiare, con chi staranno i figli, in che modo provvedere al mantenimento dei figli, ecc.

La separazione consensuale richiede la capacità dei coniugi di confrontarsi e trovare assieme una soluzione condivisa.

Una volta trovato, l’accordo dev’essere formalizzato mediante un provvedimento del tribunale ovvero, senza passare in tribunale, mediante un accordo di negoziazione assistita, cioè un vero e proprio contratto, sottoscritto alla presenza degli avvocati, che regolamenta la separazione.

La separazione giudiziale, invece, è una vera e propria causa davanti al tribunale, al quale si ricorre quando non è possibile trovare un accordo consensuale.

 

5. Che differenza c’è tra divorzio consensuale e giudiziale?

Anche il divorzio, come la separazione, può seguire una procedura consensuale o giudiziale.

Il divorzio consensuale richiede l’accordo dei coniugi sulle condizioni del divorzio.

L’accordo può essere formalizzato mediante il ricorso al tribunale: il tribunale, sentiti i coniugi in un’unica udienza, decide in camera di consiglio ed emette la sentenza di divorzio. Una volta che la sentenza è diventata definitiva, il divorzio è efficace anche ai fini dello stato civile. Da quel momento è possibile passare a nuove nozze.

Come la separazione, anche il divorzio consensuale si può fare mediante un accordo di negoziazione assistita, cioè un contratto firmato davanti agli avvocati. La procedura di negoziazione assistita non richiede la comparizione dei coniugi in tribunale, ma ci sono una serie di adempimenti che svolgono gli avvocati. Con la negoziazione assistita il divorzio è efficace dalla data della firma dell’accordo.

Quando non è possibile trovare un accordo sulle condizioni del divorzio, è necessario rivolgersi al tribunale con un ricorso per divorzio giudiziale, dando così avvio a una vera e propria causa.

 

6. Che cosa viene deciso nella separazione?

Gli aspetti che vengono decisi nella separazione sono vari.

Se ci sono figli, nella separazione dev’essere deciso il loro affidamento e la loro collocazione abitativa, cioè con quale genitore manterranno la residenza anagrafica, i tempi di permanenza presso l’altro genitore, le modalità con cui ciascun genitore contribuirà al mantenimento dei figli.

Inoltre, si decidono le sorti della casa familiare: quando ci sono figli, la casa viene assegnata al coniuge che ha con sé i figli in via prevalente. Assegnazione vuol dire che il coniuge ha diritto di rimanere a vivere nella casa coniugale, anche se non è di sua proprietà, fino a che i figli non raggiungono l’indipendenza economica.
In assenza di figli, si dovrà stabilire chi resterà a vivere nella casa.

Nella separazione, inoltre, si deve regolare il contributo al mantenimento del coniuge, se ve ne sono i presupposti. In generale, l’assegno per il coniuge viene stabilito quando c’è una differenza significativa tra i redditi dei coniugi.

Nella separazione giudiziale, può essere discussa anche la domanda di addebito della separazione, cioè l’accertamento che le ragioni della crisi familiare sono state determinate dal comportamento di uno dei due coniugi. Questo accade, ad esempio, nel caso in cui la separazione sia stata causata da maltrattamenti o dall’adulterio.

 

7. Che cosa viene deciso nel divorzio?

Nel divorzio viene disposto lo scioglimento del matrimonio e per il resto vengono esaminati gli stessi temi che abbiamo visto sopra per la separazione, tranne la domanda di addebito.

L’addebito, infatti, può essere chiesto solo nella separazione giudiziale. Nel divorzio non si torna più a discutere delle cause che hanno portato alla separazione, a meno che le cause non siano ritenute rilevanti ai fini della domanda di assegno divorzile.

Anche sotto il profilo economico ci sono alcune differenze tra l’assegno di mantenimento del coniuge che viene stabilito nella separazione e l’assegno di divorzio. L’assegno divorzile, vale a dire l’assegno che spetta al coniuge meno abbiente, si basa infatti su presupposti diversi dall’assegno di mantenimento del coniuge della separazione.

 

8. Le regole della separazione o del divorzio possono essere cambiate?

Le regole fissate nella separazione e nel divorzio non restano fisse nel tempo e possono essere cambiate ogni volta che intervengono fatti nuovi rilevanti che vanno ad incidere sull’assetto definito nella separazione o nel divorzio.

Si considerano rilevanti tutti gli eventi che riguardano la condizione lavorativa (ad esempio, la perdita del lavoro, il pensionamento, il passaggio ad un impiego più redditizio, ecc.) o la salute (ad esempio, l’invalidità sopravvenuta) o le nuove situazioni familiari dei coniugi (ad es. la convivenza stabile con un nuovo compagno, la nascita di un figlio) o ancora la crescita dei figli (ad es. il trasferimento all’estero, il raggiungimento dell’indipendenza economica, ecc.).

La modifica delle condizioni di separazione e divorzio non può essere concordata privatamente, ma richiede un atto formale, analogo a quello che si vuole modificare. Sarà dunque necessario un nuovo accordo ratificato dal tribunale o dagli avvocati nell’ambito della procedura di negoziazione assistita.

In mancanza di accordo, si può avviare in tribunale un apposito procedimento di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Si tratta di un procedimento che ha un iter veloce e una procedura semplificata.

 

9. Cosa devo fare se mio marito/mia moglie non si vuole separare?

Nel nostro ordinamento la separazione è un diritto, pertanto è sufficiente la volontà di uno solo dei coniugi.
Se l’altro non si vuole separare, si può comunque ottenere la separazione avviando il procedimento di separazione giudiziale.

 

10. Esiste la separazione per colpa?

Non c’è nel nostro ordinamento una separazione per colpa, ma è possibile chiedere nella separazione giudiziale che il tribunale accerti che la fine del matrimonio è stata causata dal comportamento di uno solo dei coniugi. Si tratta della domanda di addebito della separazione.

Serve a dimostrare che la causa della crisi coniugale è stata determinata dal comportamento di uno dei due coniugi che ha violato i doveri coniugali stabiliti dalla legge. I casi più frequenti riguardano l’adulterio (che integra violazione del dovere di fedeltà) e l’abbandono del tetto coniugale (il coniuge che va via di casa senza giusta causa viola il dovere di coabitazione).

L’addebito della separazione ha l’effetto di far venir meno il diritto all’assegno di mantenimento, se presente, e di far venir meno i diritti ereditari del coniuge cui la separazione viene addebitata. Inoltre, comporta la condanna al pagamento delle spese legali della causa di separazione.

 

11. Quanto dura una causa di separazione o di divorzio giudiziale?

La durata è quella di un procedimento giudiziale, in genere ci vogliono almeno due, tre anni per arrivare alla decisione conclusiva. Alle volte anche di più, dipende anche dalla tipologia degli accertamenti istruttori che vengono chiesti. Ad esempio, se viene richiesta una perizia sulle condizioni economiche dei coniugi, si devono considerare anche i tempi tecnici necessari per l’esecuzione dell’indagine.

In ogni caso, sia nella separazione che nel divorzio giudiziale, il tribunale già dalla prima udienza stabilisce regole provvisorie che disciplinano i rapporti tra i coniugi e con i figli. Queste regole possono sempre essere modificate nel corso del procedimento su richiesta dei coniugi e comunque possono essere modificate dalla sentenza che chiude il procedimento.

 

diniego passaporto

Rilascio del passaporto e conflitto tra genitori

Siamo separati e abbiamo un figlio minore, devo rinnovare il passaporto. Il mio ex mi nega il consenso. Come posso fare?

Per il rilascio e per il rinnovo del passaporto in presenza di figli minorenni è necessario il consenso dell’altro genitore.

Molti pensano che il consenso sia necessario solo per il rinnovo del passaporto del figlio minorenne ma in realtà è necessario anche per il passaporto del genitore.

Non importa se i genitori sono conviventi, sposati, separati o divorziati. Ciò che rende obbligatoria l’autorizzazione dell’altro genitore è la presenza di un figlio minorenne.

Come va dato il consenso?

Il consenso va dato recandosi personalmente in Questura o tramite dichiarazione scritta. Sulle pagine web delle Questure italiane sono presenti i modelli di dichiarazione di assenso e le istruzioni per la compilazione.

Spesso nelle separazioni e nei divorzi consensuali si prevede l’assenso reciproco al rilascio e rinnovo del passaporto. Tale assenso, anche se trasfuso nel provvedimento di omologa o in sentenza, non è considerato sufficiente. Serve un ulteriore atto di consenso specifico per il rilascio o rinnovo richiesto.

Se i genitori sono separati, il consenso serve in tutti i casi?

No, in alcuni tassativi casi non è necessario il consenso dell’altro genitore: in particolare, se il figlio è affidato in via esclusiva ad un solo genitore, quest’ultimo può ottenere il passaporto anche senza il consenso dell’altro.

Inoltre, non è necessario il consenso nel caso in cui il genitore sia militare impiegato in missioni internazionali, per ottenere il passaporto di servizio.

L’altro genitore può opporsi al rilascio del passaporto?

Sì, ma il diniego è legittimo solo per validi motivi, in particolare quando vi sia il rischio che il figlio possa subire conseguenze negative.

A titolo esemplificativo, è considerato un valido motivo di opposizione il pericolo concreto che il genitore che chiede il passaporto intenda trasferirsi stabilmente all’estero per sottrarsi agli obblighi di mantenimento e di frequentazione col figlio.

Cosa fare se l’altro genitore rifiuta di autorizzare il rilascio del passaporto?

Nel caso in cui l’altro genitore rifiuti di autorizzare il rilascio o il rinnovo del passaporto, è possibile chiedere l’autorizzazione al tribunale. La domanda va rivolta al Giudice Tutelare del luogo di residenza del figlio minore.

Il Giudice tutelare verifica, mediante l’audizione degli stessi genitori o assumendo informazioni tramite la Polizia Giudiziaria, che non vi siano ragioni ostative al rilascio o al rinnovo del documento per l’espatrio.

Una volta accertato ciò, emette un provvedimento che autorizza il rilascio o rinnovo del passaporto e che sostituisce il veto dell’altro genitore. Questo provvedimento va poi consegnato in Questura assieme alla richiesta del passaporto.

Il consenso al rilascio del passaporto può essere revocato?

Sì, il genitore che ha dato il consenso al rilascio del passaporto può cambiare idea e revocarlo successivamente. Ovviamente perché la revoca sia legittima devono esserci validi motivi (i medesimi che rendono legittimo il diniego).

Non è necessario rivolgersi al tribunale, ma è sufficiente comunicare la revoca alla Questura del luogo in cui risiede il genitore titolare del passaporto, motivandone specificamente le ragioni.

Qual è il giudice competente a decidere sull’affidamento del figlio se uno dei genitori vive all’estero?

In linea generale, se i genitori non vivono nello stesso luogo, il giudice competente a decidere dell’affidamento del figlio è il giudice di prossimità, vale a dire il giudice del luogo in cui vive stabilmente il figlio al momento della domanda.

Lo ha ribadito la Cassazione nella recente sentenza n. 10243 del 19 aprile 2021. La decisione riguarda il caso di un minore nato all’estero e figlio di un cittadino statunitense e di una cittadina italiana. La Cassazione ha stabilito la competenza giurisdizionale del tribunale di Firenze, luogo in cui viveva stabilmente il bambino assieme alla madre al momento di presentazione della domanda. Il padre invece era rimasto a vivere negli USA.

Il luogo di vita del minore corrisponde al luogo in cui il minore abita stabilmente, dove frequenta la scuola e dove ha sviluppato una rete di amicizie e relazioni sociali. Non basta la residenza anagrafica: la residenza anagrafica è un dato amministrativo e conta soltanto se corrisponde al posto in cui il bambino vive a tutti gli effetti.

Ma attenzione: ogni vicenda familiare va esaminata nel dettaglio, poichè quando i genitori hanno nazionalità diversa si applicano oltre alle norme di diritto internazionale privato anche le norme sovranazionali, come i regolamenti comunitari, e i trattati internazionali.

Per ogni caso è necessario ricostruire precisamente le fonti normative per comprendere quale sia il giudice competente e quali siano le norme di diritto sostanziale applicabile. Pertanto, è sempre opportuno rivolgersi ad un avvocato che si occupa specificamente di questo specifico settore del diritto.

 

Gli accordi economici della separazione vincolano il giudice del divorzio?

Separazione e divorzio sono due procedimenti distinti. Il giudice del divorzio decide autonomamente e non è vincolato da quanto stabilito nella separazione.

Se, ad esempio, nella separazione si prevede un assegno vita natural durante per la moglie. L’assegno verrà conservato anche al momento del divorzio? Dipende.

Il giudice potrebbe confermarlo, ma non vi è alcuna certezza.

Che peso hanno, allora, le regole economiche fissate nella separazione?

Indubbiamente le regole economiche definite nella separazione rappresentano un punto di riferimento dal quale il giudice del divorzio non può prescindere, ma non è tenuto necessariamente a confermarle. Il giudice infatti dovrà valutare la situazione presente in quel momento e decidere tenendo conto dei seguenti principi:

1 – nei procedimenti di diritto di famiglia il tribunale decide “rebus sic stantibus”.

Il giudice, cioè, decide tenendo conto della situazione in essere in quel momento.

Tra separazione e divorzio passa un po’ di tempo e redditi, condizione lavorativa e abitativa dei coniugi possono essere nel frattempo cambiati. Il giudice del divorzio deve valutare la situazione attuale e sulla base di quella può confermare o modificare le regole economiche definite nella separazione.

Se non è cambiato nulla, il giudice tendenzialmente confermerà l’assegno stabilito nella separazione.

Se invece è cambiata la condizione di entrambi o di uno solo dei due, è probabile che regole verranno riviste.

2 – l’assegno di divorzio è fondato su parametri diversi da quelli dell’assegno di mantenimento del coniuge nella separazione

Più esattamente, l’assegno di divorzio è finalizzato ad assicurare i mezzi di sostentamento al coniuge meno abbiente, a riequilibrare le condizioni economiche dei coniugi e a compensare economicamente il coniuge che ha sacrificato le sue aspirazioni lavorative per dedicarsi alla famiglia. L’assegno di mantenimento è invece finalizzato a consentire al coniuge di mantenere lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio.

Se per ottenere l’assegno di mantenimento nella separazione è sufficiente dimostrare un dislivello tra i redditi dei coniugi, la prova dei presupposti per l’assegno divorzile è un po’ più complicata. Non basta il dislivello tra i redditi dei coniugi, ma serve dimostrare che questo dislivello è stato causato dalle scelte fatte assieme dai coniugi durante il matrimonio e che uno dei due si è sacrificato per consentire all’altro di migliorare la propria condizione professionale ed economica.

3 – il nostro ordinamento vieta gli accordi tesi a regolare anticipatamente l’assetto del futuro divorzio

Si tratta dei “famosi” accordi prematrimoniali, vale a dire gli accordi con cui già prima del matrimonio si regola l’assetto della separazione o del divorzio, stabilendo, ad esempio, l’ammontare dell’assegno per il coniuge meno ricco, a chi andrà la casa, come verranno ripartiti i beni comuni, ecc. Consentiti da alcuni ordinamenti esteri, gli accordi prematrimoniali sono banditi in Italia.

Afferma la Cassazione: gli accordi con cui i coniugi regolano prima o durante il matrimonio o in sede di separazione le condizioni economiche del divorzio sono nulli, cioè del tutto invalidi e inefficaci.

La ragione di questa rigida posizione? Tutelare il coniuge più debole economicamente, cioè quello più esposto al rischio di trovarsi costretto a rinunciare all’assegno pur di ottenere in breve tempo il divorzio.

Attenzione dunque

Stabilire nella separazione l’assetto economico del futuro divorzio non dà alcuna certezza e non garantisce che tale assetto verrà effettivamente confermato al momento del divorzio. Basta che uno dei due coniugi cambi idea che tutto verrà messo in discussione.

E che non vi siano certezze è confermato anche dal caso, citato sopra, dell’assegno vita natural durante per la moglie.

L’assegno vita natural durante

La vicenda è questa:  nella separazione consensuale marito e moglie avevano diviso anche il patrimonio comune e si erano accordati nel senso che  il marito avrebbe versato alla moglie un assegno mensile per tutta la vita della medesima.

Arrivati al momento del divorzio, il marito cambia idea e sostiene di non doverle più nulla. Si va in causa.

Il tribunale conferma l’assegno per la moglie. Il marito impugna la decisione e la corte d’appello gli dà ragione: l’assegno non è dovuto, perchè nel frattempo le cose sono cambiate e l’accordo di separazione non può vincolare il giudice del divorzio.

La moglie ricorre in Cassazione e la Cassazione ribadisce il principio generale per cui gli accordi preventivi sul divorzio sono nulli, e dunque non possono vincolare automaticamente il giudice del divorzio, ma boccia comunque la decisione della corte d’appello. La Cassazione evidenzia, infatti, come nella particolare vicenda l’assegno per la moglie è conseguente anche alla divisione del patrimonio comune. Pertanto rinvia la causa alla Corte d’Appello per una rivalutazione del caso.

Si tratta, in effetti, di un caso molto particolare, nel quale l’assegno fissato nella separazione non  ha solo la funzione di assegno di mantenimento e futuro assegno di divorzio, ma rappresenta una sorta di rendita vitalizia.

La soluzione pertanto potrebbe essere anche di conferma dell’assegno, se l’assegno verrà qualificato come costituzione di una rendita (e non come assegno per il coniuge).

La decisione della Cassazione è contenuta nell’ordinanza n. 11012 del 26 aprile scorso. Vedremo cosa decideranno i giudici del rinvio.

 

Si può versare l’assegno di mantenimento direttamente al figlio maggiorenne?

La domanda non ha una risposta univoca.

Occorre prima di tutto tenere distinte due ipotesi fondamentali: il caso in cui la sentenza di separazione sentenza prevede il versamento diretto dell’assegno al figlio e il caso in cui la sentenza stabilisce che il pagamento del contributo per il figlio va fatto in favore del genitore convivente con il figlio (che di solito è la madre).

Esaminiamole nello specifico.

Se nella separazione è previsto espressamente il versamento diretto al figlio

Può accadere che, nel regolare la loro separazione, i coniugi si accordino prevedendo che al compimento della maggiore età del figlio il padre verserà l’assegno mensile, o una parte di esso, direttamente al figlio. In questo caso, una volta che il figlio avrà compiuto diciott’anni, il padre potrà tranquillamente versare l’assegno al figlio.

Il genitore separato, pertanto, può versare direttamente al figlio maggiorenne il contributo al suo mantenimento se questa modalità è prevista nei provvedimenti che regolano la separazione o il divorzio o il mantenimento del figlio di genitori non sposati.

Se nella separazione è previsto che l’assegno per il figlio va versato alla madre

Se invece, nei provvedimenti della separazione è previsto che l’assegno debba essere versato al genitore con lui convivente (di solito, la madre) si possono presentare due diversi scenari:

– la madre non è d’accordo per il versamento diretto al figlio:

In assenza di accordo tra i genitori, non è possibile il versamento diretto al figlio.

Infatti, il genitore convivente con il figlio è titolare del diritto di ricevere l’assegno e nel caso in cui non riceva nulla può agire in via esecutiva (con il pignoramento del conto corrente o dello stipendio, ad esempio) per recuperare le mensilità che non gli sono state corrisposte. E questo diritto può essere fatto valere anche nell’ipotesi in cui l’altro genitore abbia già versato le stesse mensilità dell’assegno direttamente al figlio.

– i genitori sono entrambi d’accordo per il versamento diretto al figlio:

Se invece i genitori separati si accordano tra di loro e convengono sul versamento diretto al figlio, occorre comunque fare molta attenzione.

Le decisioni giudiziali su questo tema non hanno, infatti, un orientamento univoco.

Alcune sentenze hanno ritenuto valido l’accordo tra i genitori separati che prevedeva il versamento diretto dell’assegno al figlio, così derogando le prescrizioni della loro separazione che stabilivano che il pagamento dell’assegno per il figlio andasse fatto mediante bonifico sul conto corrente della madre.

Tuttavia, non mancano decisioni che negano validità all’accordo tra i genitori.

In questo senso si è espressa recentemente la Corte di Cassazione con l’ordinanza 9700/2021 pubblicata lo scorso 13 aprile. Più in particolare, in questa ordinanza la Cassazione sostiene che l’accordo tra i genitori non è sufficiente ad autorizzare il padre a versare l’assegno direttamente al figlio maggiorenne, in quanto l’individuazione della madre quale beneficiario del versamento effettuata nella sentenza di separazione risponde ad un interesse superiore alla volontà delle parti. Interesse che non è modificabile mediante un semplice accordo privato, non ratificato dal tribunale.

In estrema sintesi: quanto stabilito nella sentenza prevale sulle successive manifestazioni di volontà dei genitori.

Pertanto, secondo questo orientamento, se la madre dapprima autorizza il versamento diretto al figlio, ma poi cambia idea e pretende il pagamento delle mensilità che non ha ricevuto, vi è il serio rischio di dover pagare due volte, una al figlio e l’altra alla madre.

Che cosa fare allora?

Per essere sicuri di poter pagare l’assegno direttamente al figlio maggiorenne ed evitare problemi serve un nuovo provvedimento con il medesimo peso giuridico della sentenza di separazione (o di divorzio o del decreto che regola i rapporti con il figlio nato da genitori non sposati).
In altre parole: è necessario modificare ufficialmente le regole vigenti sulle modalità di versamento dell’assegno, rivolgendosi nuovamente al tribunale oppure ricorrendo alla procedura della negoziazione assistita.

Fonte: Cassazione ordinanza n. 9700 del 13.4.2021

Spese straordinarie per i figli: le prassi dei tribunali

Nelle separazioni, il mantenimento dei figli viene stabilito prevedendo un assegno di importo fisso mensile a copertura del mantenimento ordinario, cui si aggiunge il rimborso a parte di una serie di spese (mediche, scolastiche, sportive, ecc.), definite spese straordinarie.

La Cassazione ha infatti affermato in più occasioni che vi sono spese che per il loro carattere eccezionale e non prevedibile o per l’importo rilevante non possono essere calcolate in anticipo e incluse nell’assegno mensile.

Di solito le spese straordinarie sono poste a carico dei genitori in misura del 50% ciascuno. Tuttavia, quando le condizioni economiche dei genitori sono diverse, possono essere anche poste in misura maggiore o per intero a carico di quello più facoltoso.

Ma quali sono esattamente le spese straordinarie?

La Cassazione ha stabilito che rientrano nelle spese straordinarie le spese non prevedibili. Ad esempio, le visite mediche.

Ha anche affermato che rientrano nelle spese straordinarie le spese che, nonostante siano prevedibili, sono di importo elevato. Se non rimborsate separatamente, queste spese andrebbero ad incidere in maniera significativa sull’assegno mensile, riducendolo o persino azzerandolo. Rientrano in questo tipo di spese, ad esempio, l’acquisto dei libri scolastici: è un acquisto prevedibile, ma la spesa in genere è rilevante.

Più in generale, la Cassazione ha sostenuto che fanno parte delle spese straordinarie tutte le spese relative alle decisioni più importanti per la crescita, la formazione e la salute dei figli . Tali spese devono essere concordate anticipatamente dai genitori, a meno che non abbiano carattere d’urgenza.

Questi criteri generali si prestano a diverse interpretazioni e il contenzioso sulle spese straordinarie è assai frequente. Non è sempre chiaro quali siano in concreto le tipologie di spese che rientrano negli extra, se debbano essere concordate tutte o solo alcune, con quali modalità debbano essere rimborsate.

Un esempio: i farmaci da banco si considerano spese straordinarie o fanno parte del mantenimento ordinario? I giudici hanno dato risposte discordanti.

Le prassi dei Tribunali

In assenza di specifiche disposizioni di legge, negli ultimi anni i tribunali hanno cercato di ridurre le controversie sulle spese extra mediante l’adozione di protocolli sulle spese straordinarie.

I protocolli sono regole uniformi che che vengono applicate di default (salvo che i genitori non si accordino in modo diverso) in tutti i casi in cui si deve regolare il mantenimento dei figli. Si applicano, dunque, alle separazioni, ai divorzi e ai procedimenti di modifica. Si applicano anche nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio.

I protocolli hanno consentito di ridurre le vertenze sulle spese straordinarie, ma non hanno risolto tutti i problemi. Ogni tribunale ha infatti il proprio protocollo e i criteri cambiano da un tribunale all’altro, anche nell’ambito dello stesso distretto di Corte d’Appello.

In ogni caso si tratta indubbiamente di un passo in avanti rispetto al passato, in attesa che regole più precise vengano dettate in maniera uniforme a livello nazionale.

Nei protocolli, oltre all’elencazione delle spese straordinarie, sono indicate le modalità di rimborso. Spesso è previsto che la mancata risposta alla richiesta di rimborso vale come assenso, e ciò al fine di evitare condotte dilatorie da parte di chi deve pagare.

Sono anche specificate quali voci di spesa debbano essere previamente concordate tra i genitori e quali invece non richiedono il preventivo accordo, in quanto si tratta di spese ritenute di per sé rispondenti all’interesse del figlio o non concertabili.

Rientrano, ad esempio, tra le spese che non richiedono l’accordo tra i genitori le spese per l’acquisto dei libri scolastici. Vanno invece concordate le spese per visite mediche specialistiche in regime di libera professione.