Se il marito resta senza lavoro deve continuare a pagare l’assegno di mantenimento alla moglie?

Sì, ma solo se permane un divario tra le condizioni economiche dei coniugi.  Se il reddito del marito rimane superiore a quello della moglie, l’assegno va ridotto, ma non eliminato.

 

Le regole della separazione e del divorzio possono cambiare

Le disposizioni economiche della separazione e del divorzio non sono immutabili nel tempo, ma possono cambiare se cambiano i redditi e il patrimonio dei coniugi o degli ex coniugi.

Pertanto, quando il coniuge tenuto al versamento dell’assegno peggiora la propria condizione economica può rivolgersi al giudice per ottenere la revisione di quanto stabilito nella separazione, domandando la riduzione o l’eliminazione dell’assegno.

Il giudice dovrà rivalutare la condizione economica di entrambi i coniugi e verificare quale sia l’assetto attuale e quanto il cambiamento abbia inciso sulle condizioni economiche delle parti.

Il cambiamento, per fondare la modifica delle precedenti prescrizioni, deve essere rilevante e stabile. Non basta un cambiamento temporaneo o con effetti limitati nel tempo

 

Se il marito perde il lavoro …

In un recente caso esaminato dalla Corte d’appello di Milano il marito ha chiesto la modifica delle condizioni di separazione dichiarando che la società di cui era amministratore aveva cessato l’attività e di essere pertanto rimasto privo delle relative entrate. Al momento della separazione egli percepiva compensi come amministratore della società e una pensione. Con l’estinzione della società, gli era rimasta solo la pensione.

Alla luce del peggioramento delle sue condizioni economiche, il marito ha chiesto che venisse tolto l’assegno di 2.000,00 € per il mantenimento della moglie previsto al momento della separazione.

I giudici hanno ribadito che la modifica delle condizioni reddituali dei coniugi incide sulle regole relative al mantenimento e consente di rimodulare l’assegno, ma non lo fa venire meno automaticamente.

Nel caso specifico, hanno ritenuto che fosse comunque necessario riconoscere un contributo alla moglie, perché, anche se il marito aveva peggiorato la sua condizione finanziaria, rimaneva comunque un sensibile divario nell’assetto economico dei coniugi. Se il marito si era impoverito, la moglie se la passava peggio, in quanto del tutto priva di redditi.

L’assegno per la moglie è stato così ridotto a 500 € mensili, ma non è stato eliminato.

 

Fonte: Corte d’appello di Milano decreto 27 ottobre 2021

Gli accordi economici della separazione vincolano il giudice del divorzio?

Separazione e divorzio sono due procedimenti distinti. Il giudice del divorzio decide autonomamente e non è vincolato da quanto stabilito nella separazione.

Se, ad esempio, nella separazione si prevede un assegno vita natural durante per la moglie. L’assegno verrà conservato anche al momento del divorzio? Dipende.

Il giudice potrebbe confermarlo, ma non vi è alcuna certezza.

Che peso hanno, allora, le regole economiche fissate nella separazione?

Indubbiamente le regole economiche definite nella separazione rappresentano un punto di riferimento dal quale il giudice del divorzio non può prescindere, ma non è tenuto necessariamente a confermarle. Il giudice infatti dovrà valutare la situazione presente in quel momento e decidere tenendo conto dei seguenti principi:

1 – nei procedimenti di diritto di famiglia il tribunale decide “rebus sic stantibus”.

Il giudice, cioè, decide tenendo conto della situazione in essere in quel momento.

Tra separazione e divorzio passa un po’ di tempo e redditi, condizione lavorativa e abitativa dei coniugi possono essere nel frattempo cambiati. Il giudice del divorzio deve valutare la situazione attuale e sulla base di quella può confermare o modificare le regole economiche definite nella separazione.

Se non è cambiato nulla, il giudice tendenzialmente confermerà l’assegno stabilito nella separazione.

Se invece è cambiata la condizione di entrambi o di uno solo dei due, è probabile che regole verranno riviste.

2 – l’assegno di divorzio è fondato su parametri diversi da quelli dell’assegno di mantenimento del coniuge nella separazione

Più esattamente, l’assegno di divorzio è finalizzato ad assicurare i mezzi di sostentamento al coniuge meno abbiente, a riequilibrare le condizioni economiche dei coniugi e a compensare economicamente il coniuge che ha sacrificato le sue aspirazioni lavorative per dedicarsi alla famiglia. L’assegno di mantenimento è invece finalizzato a consentire al coniuge di mantenere lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio.

Se per ottenere l’assegno di mantenimento nella separazione è sufficiente dimostrare un dislivello tra i redditi dei coniugi, la prova dei presupposti per l’assegno divorzile è un po’ più complicata. Non basta il dislivello tra i redditi dei coniugi, ma serve dimostrare che questo dislivello è stato causato dalle scelte fatte assieme dai coniugi durante il matrimonio e che uno dei due si è sacrificato per consentire all’altro di migliorare la propria condizione professionale ed economica.

3 – il nostro ordinamento vieta gli accordi tesi a regolare anticipatamente l’assetto del futuro divorzio

Si tratta dei “famosi” accordi prematrimoniali, vale a dire gli accordi con cui già prima del matrimonio si regola l’assetto della separazione o del divorzio, stabilendo, ad esempio, l’ammontare dell’assegno per il coniuge meno ricco, a chi andrà la casa, come verranno ripartiti i beni comuni, ecc. Consentiti da alcuni ordinamenti esteri, gli accordi prematrimoniali sono banditi in Italia.

Afferma la Cassazione: gli accordi con cui i coniugi regolano prima o durante il matrimonio o in sede di separazione le condizioni economiche del divorzio sono nulli, cioè del tutto invalidi e inefficaci.

La ragione di questa rigida posizione? Tutelare il coniuge più debole economicamente, cioè quello più esposto al rischio di trovarsi costretto a rinunciare all’assegno pur di ottenere in breve tempo il divorzio.

Attenzione dunque

Stabilire nella separazione l’assetto economico del futuro divorzio non dà alcuna certezza e non garantisce che tale assetto verrà effettivamente confermato al momento del divorzio. Basta che uno dei due coniugi cambi idea che tutto verrà messo in discussione.

E che non vi siano certezze è confermato anche dal caso, citato sopra, dell’assegno vita natural durante per la moglie.

L’assegno vita natural durante

La vicenda è questa:  nella separazione consensuale marito e moglie avevano diviso anche il patrimonio comune e si erano accordati nel senso che  il marito avrebbe versato alla moglie un assegno mensile per tutta la vita della medesima.

Arrivati al momento del divorzio, il marito cambia idea e sostiene di non doverle più nulla. Si va in causa.

Il tribunale conferma l’assegno per la moglie. Il marito impugna la decisione e la corte d’appello gli dà ragione: l’assegno non è dovuto, perchè nel frattempo le cose sono cambiate e l’accordo di separazione non può vincolare il giudice del divorzio.

La moglie ricorre in Cassazione e la Cassazione ribadisce il principio generale per cui gli accordi preventivi sul divorzio sono nulli, e dunque non possono vincolare automaticamente il giudice del divorzio, ma boccia comunque la decisione della corte d’appello. La Cassazione evidenzia, infatti, come nella particolare vicenda l’assegno per la moglie è conseguente anche alla divisione del patrimonio comune. Pertanto rinvia la causa alla Corte d’Appello per una rivalutazione del caso.

Si tratta, in effetti, di un caso molto particolare, nel quale l’assegno fissato nella separazione non  ha solo la funzione di assegno di mantenimento e futuro assegno di divorzio, ma rappresenta una sorta di rendita vitalizia.

La soluzione pertanto potrebbe essere anche di conferma dell’assegno, se l’assegno verrà qualificato come costituzione di una rendita (e non come assegno per il coniuge).

La decisione della Cassazione è contenuta nell’ordinanza n. 11012 del 26 aprile scorso. Vedremo cosa decideranno i giudici del rinvio.

 

Si può versare l’assegno di mantenimento direttamente al figlio maggiorenne?

La domanda non ha una risposta univoca.

Occorre prima di tutto tenere distinte due ipotesi fondamentali: il caso in cui la sentenza di separazione sentenza prevede il versamento diretto dell’assegno al figlio e il caso in cui la sentenza stabilisce che il pagamento del contributo per il figlio va fatto in favore del genitore convivente con il figlio (che di solito è la madre).

Esaminiamole nello specifico.

Se nella separazione è previsto espressamente il versamento diretto al figlio

Può accadere che, nel regolare la loro separazione, i coniugi si accordino prevedendo che al compimento della maggiore età del figlio il padre verserà l’assegno mensile, o una parte di esso, direttamente al figlio. In questo caso, una volta che il figlio avrà compiuto diciott’anni, il padre potrà tranquillamente versare l’assegno al figlio.

Il genitore separato, pertanto, può versare direttamente al figlio maggiorenne il contributo al suo mantenimento se questa modalità è prevista nei provvedimenti che regolano la separazione o il divorzio o il mantenimento del figlio di genitori non sposati.

Se nella separazione è previsto che l’assegno per il figlio va versato alla madre

Se invece, nei provvedimenti della separazione è previsto che l’assegno debba essere versato al genitore con lui convivente (di solito, la madre) si possono presentare due diversi scenari:

– la madre non è d’accordo per il versamento diretto al figlio:

In assenza di accordo tra i genitori, non è possibile il versamento diretto al figlio.

Infatti, il genitore convivente con il figlio è titolare del diritto di ricevere l’assegno e nel caso in cui non riceva nulla può agire in via esecutiva (con il pignoramento del conto corrente o dello stipendio, ad esempio) per recuperare le mensilità che non gli sono state corrisposte. E questo diritto può essere fatto valere anche nell’ipotesi in cui l’altro genitore abbia già versato le stesse mensilità dell’assegno direttamente al figlio.

– i genitori sono entrambi d’accordo per il versamento diretto al figlio:

Se invece i genitori separati si accordano tra di loro e convengono sul versamento diretto al figlio, occorre comunque fare molta attenzione.

Le decisioni giudiziali su questo tema non hanno, infatti, un orientamento univoco.

Alcune sentenze hanno ritenuto valido l’accordo tra i genitori separati che prevedeva il versamento diretto dell’assegno al figlio, così derogando le prescrizioni della loro separazione che stabilivano che il pagamento dell’assegno per il figlio andasse fatto mediante bonifico sul conto corrente della madre.

Tuttavia, non mancano decisioni che negano validità all’accordo tra i genitori.

In questo senso si è espressa recentemente la Corte di Cassazione con l’ordinanza 9700/2021 pubblicata lo scorso 13 aprile. Più in particolare, in questa ordinanza la Cassazione sostiene che l’accordo tra i genitori non è sufficiente ad autorizzare il padre a versare l’assegno direttamente al figlio maggiorenne, in quanto l’individuazione della madre quale beneficiario del versamento effettuata nella sentenza di separazione risponde ad un interesse superiore alla volontà delle parti. Interesse che non è modificabile mediante un semplice accordo privato, non ratificato dal tribunale.

In estrema sintesi: quanto stabilito nella sentenza prevale sulle successive manifestazioni di volontà dei genitori.

Pertanto, secondo questo orientamento, se la madre dapprima autorizza il versamento diretto al figlio, ma poi cambia idea e pretende il pagamento delle mensilità che non ha ricevuto, vi è il serio rischio di dover pagare due volte, una al figlio e l’altra alla madre.

Che cosa fare allora?

Per essere sicuri di poter pagare l’assegno direttamente al figlio maggiorenne ed evitare problemi serve un nuovo provvedimento con il medesimo peso giuridico della sentenza di separazione (o di divorzio o del decreto che regola i rapporti con il figlio nato da genitori non sposati).
In altre parole: è necessario modificare ufficialmente le regole vigenti sulle modalità di versamento dell’assegno, rivolgendosi nuovamente al tribunale oppure ricorrendo alla procedura della negoziazione assistita.

Fonte: Cassazione ordinanza n. 9700 del 13.4.2021

Assegno di divorzio: il divario tra i redditi degli ex coniugi non sempre conta

La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del luglio 2018 ha chiarito che l’assegno divorzile assolve una funzione assistenziale e perequativo-compensativa. Ne abbiamo già parlato in un precedente articolo.

Secondo il nuovo orientamento interpretativo, ha diritto al riconoscimento di un assegno in sede di divorzio il coniuge che si trovi in una condizione economica inferiore rispetto all’altro a causa delle scelte fatte in funzione della vita matrimoniale, consistite – ad esempio – nel rinunciare alle proprie aspirazioni professionali per dedicarsi alla famiglia ed alla crescita dei figli.

Il primo criterio che il giudice del divorzio è chiamato ad accertare per la previsione dell’assegno divorzile è che vi sia un divario, uno squilibrio economico- patrimoniale tra le condizioni dei coniugi. Pertanto, se tale divario non è presente l’assegno di divorzio non può essere riconosciuto.

Secondo la Cassazione, lo squilibrio tra le condizioni economiche dei coniugi è un presupposto di fatto il cui accertamento di fatto è richiesto dalla legge per poter valutare il diritto all’assegno di divorzio.
Se la condizione economico patrimoniale dei coniugi è paritaria e non risulta influenzata dalle decisione assunte durante il matrimonio sulla conduzione della vita familiare, non vi è il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio. Allo stesso modo, condizioni di agiatezza particolarmente elevate di uno dei coniugi che non sono frutto delle scelte fatte durante il matrimonio non permettono il riconoscimento dell’assegno di divorzio.

Ma vi sono anche alcuni casi in cui, pur sussistendo uno squilibrio tra le condizioni economiche dei coniugi l’assegno di divorzio non può essere riconosciuto. Ciò accade nelle seguenti ipotesi:

– quando i coniugi hanno già definito al momento della separazione personale i reciproci rapporti economico-patrimoniali, tenendo anche conto del conseguenze negative della fine del matrimonio sulla sfera economica del coniuge meno abbiente, compensando così il sacrificio da questi fatto durante la vita coniugale (ad esempio, se c’è stato un trasferimento di somme di danaro o di beni immobili dall’uno all’altro in sede di separazione consensuale);

– quando il matrimonio ha avuto breve durata;

– quando l’età del coniuge che richiede l’assegno è ancora adeguata al suo ingresso nel mondo del lavoro;

– quando il coniuge che chiede l’assegno non ha svolto un ruolo determinante nella conduzione della vita familiare.

schermata grigia con domanda "Cosa succede se non pago il mantenimento a mia moglie?"

Cosa succede se non pago il mantenimento a mia moglie?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

Non contribuire al mantenimento della moglie, anche divorziata, e dei figli espone al rischio di denuncia da parte del coniuge e di sanzioni penali, ai sensi degli articoli 570 (violazione degli obblighi di assistenza familiare), 570 bis c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio) e 388 (violazione dolosa di provvedimento dell’autorità giudiziaria).

Gli artt. 570 e 388 del codice penale si applicano anche in caso di mancato mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio.

Immagine con fondo grigio con domanda "Quali sono le conseguenze nella separazione se ho tradito mia moglie?"

Quali sono le conseguenze nella separazione se ho tradito mia moglie?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

La fedeltà coniugale è un obbligo espressamente previsto dalla legge.
Pertanto, in caso di tradimento, il coniuge tradito può richiedere l’addebito della separazione, cioè il riconoscimento formale della responsabilità della crisi coniugale in capo al coniuge che ha commesso adulterio.

L’addebito ha alcune conseguenze pratiche, quali il venir meno dei diritti successori in favore del coniuge che ha tradito, il venir meno del diritto al mantenimento e la condanna al pagamento delle spese legali della causa di separazione.

È bene precisare che l’addebito della separazione non ha effetti per quanto attiene la regolamentazione dei rapporti con i figli, che rimane una questione separata e distinta dalla violazione dei doveri coniugali.

Schermata con sfondo grigio con domanda "Quando spetta l'assegno all'ex coniuge?"

Quando spetta l’assegno all’ex coniuge

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

Secondo la sentenza n. 18287/18 della Cassazione, lo scopo dell’assegno di divorzio è quello di garantire il sostentamento del coniuge più debole non in grado di automantenersi (funzione assistenziale dell’assegno di divorzio), ma anche quello di compensare le differenze reddituali e di equilibrare le condizioni dei coniugi, specie nel caso in cui uno dei due abbia sacrificato le proprie aspirazioni lavorative per dedicarsi alla famiglia d’intesa con l’altro coniuge (funzione perequativa e compensativa dell’assegno di divorzio). Il tutto va rapportato alla durata del matrimonio e ad altri fattori, quale a titolo esemplificativo, l’uso della casa coniugale.

Per questo l’assegno viene riconosciuto solo in certi casi specifici, tra i quali ad esempio quando l’ex coniuge:
è troppo giovane o troppo anziano per trovare un’occupazione;
è gravemente malato o invalido e quindi incapace di poter guadagnare;
non ha una formazione o un curriculum di esperienze lavorative, conseguenza dell’essersi dedicato alla famiglia, in accordo con l’altro coniuge, consentendo a quest’ultimo di concentrarsi sulla carriera.

Diritto all’assegno di divorzio viene meno anche senza convivenza con il nuovo partner

Per orientamento interpretativo ormai consolidato, non ha diritto all’assegno di divorzio l’ex coniuge che forma una famiglia di fatto, andando a convivere con il nuovo partner.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha enunciato questo principio in numerose sentenze, evidenziando come la creazione da parte dell’ex coniuge di un’altra famiglia, anche se soltanto di fatto, fa venire meno definitivamente ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno di divorzio, poiché rescinde ogni rapporto di solidarietà derivante dal precedente matrimonio.

Di questo tema avevamo già trattato in un articolo di qualche tempo fa: “All’ex coniuge che convive non spetta l’assegno di divorzio“.

Diritto all’assegno divorzile escluso nel caso di convivenza di fatto dell’ex coniuge con il nuovo partner

Per i giudici della Cassazione, la famiglia di fatto si caratterizza per la stabilità e la continuità degli affetti, per la condivisione di un progetto di vita e per la sussistenza tra i componenti della famiglia stessa di reciproci obblighi di assistenza morale ed economica, così come accade nella famiglia fondata sul matrimonio.

Finora le sentenze della Cassazione hanno escluso il diritto all’assegno divorzile nel caso di convivenza di fatto dell’ex coniuge con il nuovo partner. Ed invero, la convivenza sotto il medesimo tetto è elemento essenziale a dimostrazione della stabilità e della continuità del nuovo rapporto familiare, ma non è il solo.

La giurisprudenza di merito, infatti, si è spinta oltre, escludendo il diritto all’assegno di divorzio anche nel caso in cui l’ex coniuge richiedente l’assegno non conviva con il nuovo compagno, quando comunque risulti da altre circostanze che il medesimo ha creato una famiglia di fatto con un’altra persona.

Diritto all’assegno divorzile escluso anche senza convivenza effettiva: il caso del Tribunale di Como

In particolare, il Tribunale di Como ha ritenuto che per far cessare l’obbligo di solidarietà tra gli ex coniugi non è necessario che uno dei due abbia radicato una effettiva convivenza con il nuovo partner: quello che rileva è la formazione di una famiglia di fatto, con conseguente assunzione in capo ai suoi componenti degli obblighi di assistenza morale e materiale analoghi a quelli della famiglia matrimoniale, e ciò non richiede necessariamente la stabile convivenza sotto il medesimo tetto.

In particolare, si è rilevato che “la costituzione del nucleo familiare di fatto non è esclusa per il sol fatto che i due partners abbiano liberamente optato per soprassedere, al momento, dalla instaurazione di una stabile convivenza, il che del resto ben può avvenire anche per le coppie coniugate; anche in costanza di matrimonio, infatti, il dovere di coabitazione può essere derogato, per accordo tra i coniugi, nel superiore interesse della famiglia, per ragioni di lavoro, studio ecc.. sì da non escludere la comunione di vita interpersonale (cfr. Cass. 19439/11, 17537/03), e quindi non si vede perché non possa essere esercitabile detta facoltà anche da parte delle coppie non coniugate, unite affettivamente, e legate anche da reciproci diritti e doveri nei confronti della prole, le quali quindi ben possono essere intese come nucleo familiare di fatto o modello familiare atipico, anche in difetto di stabile coabitazione, ove il loro legame integri una comunione di vita interpersonale“.

Nel caso esaminato dal Tribunale di Como l’ex moglie richiedente l’assegno di divorzio non abitava stabilmente assieme al nuovo compagno, ma vi erano altri elementi significativi della sussistenza di una famiglia di fatto tra i due, quali la presenza di un figlio, la circostanza che tra la signora ed il partner vi era una relazione affettiva stabile e di frequente ella si recava a casa del compagno, la compartecipazione del compagno alle spese del figlio e la presenza di un progetto di vita condiviso. Insomma, una vera e propria comunione di vita interpersonale, a prescindere dalla convivenza effettiva.

Fonte: Tribunale di Como, ordinanza 12.4.2018 (est. Montanari).

Quali sono le conseguenze se abbandono il tetto coniugale?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

L’abbandono del tetto coniugale non costituisce reato nel nostro ordinamento; tuttavia, esso integra violazione degli obblighi coniugali, vale a dire del dovere di coabitazione e dell’obbligo di fornire assistenza al coniuge. Per questo, chi ha subito l’abbandono può richiedere l’addebito della separazione al coniuge che si è allontanato da casa. L’addebito consiste, in sostanza, nel riconoscere che la crisi coniugale è responsabilità di uno solo dei coniugi, che, con il proprio comportamento, ha provocato la separazione. Si può chiedere l’addebito soltanto nell’ambito di una causa di separazione giudiziale (non nella separazione consensuale).

Che cosa prevede il DDL Pillon?

Scopriamo le possibili novità introdotte dal DDL Pillon

Il DDL #Pillon vorrebbe introdurre la “bigenitorialità perfetta”: questo significa che, in caso di separazione di una coppia, il mantenimento dei figli, l’affidamento, i costi e il tempo da trascorrere insieme verrebbero essere divisi precisamente a metà tra padre e madre.

Bisogna specificare, però, che si tratta soltanto di un disegno di legge, non ancora approvato in Parlamento e Senato.