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Divorzio: quanto conta la convivenza prematrimoniale?

La convivenza prematrimoniale è sempre più riconosciuta non solo come una fase preparatoria al matrimonio, ma anche come un elemento significativo nelle decisioni relative al divorzio.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno infatti recentemente stabilito che la durata della convivenza precedente il matrimonio dev’essere tenuta in considerazione nella determinazione dell’assegno di divorzio, al pari della durata del rapporto matrimoniale vero e proprio, successivo alle nozze.
La decisione, di importanza storica, riflette il cambiamento dei costumi e riconosce l’importanza dei legami di fatto nella società contemporanea.

La valenza della convivenza prematrimoniale

Secondo la Corte di Cassazione, la convivenza prematrimoniale deve essere considerata quando si decide sull’assegno di divorzio e sulla sua quantificazione. Questo riconoscimento tiene conto delle convivenze di fatto come formazioni familiari e sociali di pari dignità rispetto a quelle matrimoniali. La legge sul divorzio del 1970, infatti, non contemplava la convivenza prematrimoniale, essendo quest’ultima molto rara all’epoca. Oggi, però, la realtà è cambiata e la convivenza prematrimoniale è diventata un fenomeno radicato nei comportamenti sociali.

Il contributo economico e le rinunce

La Suprema Corte ha ribadito che l’assegno di divorzio ha una natura assistenziale, perequativa e compensativa. Pertanto, nel decidere sull’assegno, il giudice deve considerare la convivenza prematrimoniale quando questa presenta connotati di stabilità e continuità e quando è basata su un progetto di vita comune che ha comportato reciproche contribuzioni economiche. È fondamentale valutare il contributo di ciascun partner alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale.

In particolare, il giudice deve verificare se la coppia durante la convivenza prematrimoniale abbia fatto scelte condivise che abbiano poi influenzato la vita matrimoniale. Queste scelte possono includere sacrifici o rinunce, specialmente in ambito lavorativo o professionale, del coniuge economicamente più debole, che può risultare incapace di disporre ai adeguate risorse economiche dopo il divorzio. Tali sacrifici o rinunce devono essere dimostrati e collegati causalmente alla situazione economica post-divorzio.

In conclusione

La convivenza prematrimoniale è ora riconosciuta come un elemento significativo nel determinare il diritto e l’ammontare dell’assegno di divorzio. Questo riconoscimento da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è un passo avanti nella tutela dei diritti dei conviventi e riflette un adeguamento dell’interpretazione giurisprudenziale ai cambiamenti sociali.
Per le coppie che decidono di convivere prima del matrimonio, è essenziale essere consapevoli delle implicazioni legali di questa scelta, e consultare un avvocato esperto della materia può fornire un supporto fondamentale per affrontare al meglio le eventuali future decisioni legali.

Fonte: Corte di Cassazione, Sez. Unite, sentenza n. 35385 del 18.12.2023

Assegnazione della casa familiare: i figli al centro della decisione

Con la recente sentenza del 28 giugno 2024 la Corte d’appello di Milano ha ribadito ancora una volta come la decisione relativa all’assegnazione della casa familiare debba essere guidata esclusivamente dagli interessi dei figli.

Il caso deciso

Il caso esaminato dalla Corte d’appello di Milano nella sentenza in esame riguardava un minore collocato presso il padre nella casa familiare di proprietà della madre, decisione impugnata dalla madre che richiedeva l’assegnazione a suo favore dell’abitazione, sostenendo che il figlio dovesse avere collocazione abitativa prevalente con lei.

La Corte d’appello ha rigettato la richiesta materna e confermato il collocamento del figlio presso il padre, evidenziando come il minore avesse stabilizzato vita e abitudini nella casa coniugale, dove viveva oramai da due anni assieme al padre e alla nuova compagna di lui. La madre peraltro risultava essersi trasferita con la figlia maggiorenne in altra regione, dove aveva comprato casa assieme al nuovo compagno.

Gli interessi dei figli

La Corte ha ribadito un principio cardine: l’assegnazione della casa familiare deve mirare principalmente alla conservazione, in favore dei figli, del domicilio dove si sono radicati abitudini ed affetti del minore. Questo approccio è in linea con quanto sancito dagli articoli 337 ter e 337 sexies del codice civile, che pongono l’accento sulla necessità di garantire un ambiente stabile e sereno per lo sviluppo del minore.

L’incidenza economica dell’assegnazione della casa familiare

Nella decisione, i giudici della Corte d’appello di Milano hanno tenuto conto non solo della stabilità abitativa del minore ma anche delle condizioni personali ed economiche dei genitori. È stata evidenziata la nuova situazione abitativa e relazionale della madre, che aveva trasferito il centro dei propri interessi in un’altra regione, e la sua parziale emancipazione economica, elementi che hanno portato a una revisione delle prescrizioni economiche disposte dal tribunale di Milano nella sentenza appellata.

Tenendo conto della valenza economica del provvedimento di assegnazione della casa familiare, la Corte ha revocato l’assegno di mantenimento del figlio a carico della madre, considerando il godimento della casa familiare (immobile di proprietà esclusiva della madre) come un adeguato contributo economico al sostentamento del figlio. Inoltre, è stato confermato l’obbligo a carico del padre di mantenimento della figlia maggiorenne convivente con la madre e solo parzialmente autosufficiente. Al riguardo, i giudici hanno anche precisato che anche se la figlia è maggiorenne l’assegno per il suo mantenimento va versato alla madre, in quanto genitore convivente.

Conclusioni

Questa sentenza della Corte d’appello di Milano riafferma l’importanza della valutazione degli interessi della prole nelle decisioni riguardanti l’assegnazione della casa familiare. Le condizioni personali ed economiche dei genitori devono sempre essere valutate alla luce del benessere e dello sviluppo equilibrato dei minori coinvolti. La stabilità abitativa, le abitudini radicate e l’ambiente familiare costituiscono elementi essenziali per il sereno sviluppo del minore e ogni decisione deve essere orientata a preservare tali aspetti.

Per ulteriori informazioni e consulenze personalizzate, lo legale studio legale è a disposizione per assistervi in tutte le questioni riguardanti il diritto di famiglia.

 

Fonte: sentenza Corte d’Appello di Milano 28 giugno 2024

Assegnazione della casa familiare nella separazione: criteri, diritti e doveri

L’assegnazione della casa familiare è una misura prevista dal nostro ordinamento per tutelare il benessere dei figli minori e garantire loro stabilità e continuità abitativa anche dopo la separazione o il divorzio dei genitori. Questo provvedimento ha come obiettivo principale la protezione degli interessi della prole, permettendo loro di continuare a vivere nell’ambiente domestico che conoscono, riducendo al minimo i traumi e i disagi derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare.

La normativa di riferimento

La regolamentazione dell’assegnazione della casa familiare è disciplinata principalmente dagli articoli 337 ter e 337 sexies del codice civile. Questi articoli stabiliscono i criteri e le modalità con cui viene deciso l’assegnazione dell’abitazione familiare, ponendo particolare attenzione agli interessi dei figli minori ed evidenziando anche i risvolti economici dell’assegnazione.

Quali sono i criteri di assegnazione?

 

  1. Interessi dei figli: la casa familiare viene assegnata al genitore con cui i figli minori convivono stabilmente. L’assegnazione mira a preservare l’ambiente domestico, le abitudini e le relazioni affettive dei minori, considerati fondamentali per il loro sviluppo equilibrato e sereno. L’assegnazione è prevista anche in presenza di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti e anche in caso di figli maggiorenni  con gravi disabilità.

 

  1. Stabilità abitativa: viene valutato il tempo e la stabilità con cui il figlio ha vissuto nella casa familiare. La continuità abitativa è considerata un elemento cruciale per evitare ulteriori traumi ai bambini.

 

  1. Condizioni economiche: anche le condizioni economiche dei genitori vengono prese in considerazione.  Il tribunale valuta l’impatto economico dell’assegnazione sia sul genitore che mantiene il possesso della casa, sia su quello che ne perde la disponibilità.

 

  1. Diritti di proprietà: Se la casa familiare è di proprietà esclusiva di uno dei genitori, questo elemento viene considerato nella decisione, ma non prevale sugli interessi della prole. L’assegnazione può comunque essere disposta a favore dell’altro genitore se ciò risponde meglio alle esigenze dei figli.

Quanto dura l’assegnazione?

L’assegnazione della casa familiare ha una durata che è strettamente legata alle esigenze dei figli . Il diritto di abitazione cessa quando i figli diventano economicamente autosufficienti. In alcuni casi, l’assegnazione può essere rivista se cambiano le condizioni personali o economiche dei genitori o dei figli.

Quali diritti e doveri discendono dall’assegnazione?

  1. Usufrutto e diritto d’abitazione: Il genitore assegnatario non acquisisce la proprietà dell’immobile, né i diritti reali di usufrutto o di abitazione, acquista più semplicemente un diritto personale di godimento dell’immobile limitato al periodo necessario per il benessere dei figli.
  2. Manutenzione e spese: Le spese di manutenzione ordinaria dell’immobile restano a carico del genitore assegnatario, mentre quelle straordinarie spettano al proprietario dell’immobile.

Nel prossimo articolo esamineremo una recente sentenza della Corte d’appello di Milano che affronta proprio il tema dell’assegnazione della casa familiare.

 

Mediazione Familiare: cos’è e come funziona

Esistono alternative che possono rendere il percorso della separazione meno doloroso e più costruttivo. Uno strumento sempre più riconosciuto nel panorama giuridico del diritto di famiglia è la mediazione familiare.

Che cos’è la mediazione familiare?

La mediazione familiare rappresenta un approccio consensuale alla risoluzione delle controversie familiari, coinvolgendo un mediatore che si pone in posizione neutra rispetto alle parti. Questo professionista facilita la comunicazione tra le parti, promuovendo un dialogo costruttivo e aiutando a raggiungere accordi soddisfacenti per entrambe le parti.

Quali vantaggi porta?

1. riduce lo stress emotivo: la mediazione offre un ambiente meno formale rispetto al tribunale, consentendo alle persone di affrontare le questioni in modo meno conflittuale, utilizzando un approccio che non riguarda soltanto i profili giuridici della separazione ma anche aspetti psicologici ed emotivi;

2. consente di risparmiare tempo e costi: a differenza di un procedimento contenzioso che può trascinarsi a lungo, la mediazione è più veloce e quando conduce ad un accordo consente di ridurre le spese legali;

3. conduce a soluzioni personalizzate: la flessibilità della mediazione consente alle parti di personalizzare le soluzioni, prendendo in considerazione le esigenze specifiche dei genitori e dei figli coinvolti;

4. preserva le relazioni familiari: la mediazione favorisce la comunicazione costruttiva, contribuendo a preservare le relazioni familiari, specialmente quelle tra genitori e figli.

La mediazione familiare è obbligatoria?

No, nel nostro ordinamento non è obbligatorio svolgere la mediazione familiare prima di rivolgersi al tribunale. Si tratta di un percorso volontario, che necessariamente richiede l’assenso e la disponibilità delle parti a mettersi in discussione e ad avvicinarsi in modo costruttivo all’altro.

Quando dura la mediazione familiare?

La mediazione non ha una durata fissa, varia a seconda delle situazioni. In alcuni casi possono bastare una decina di incontri, in altri il percorso è più lungo.

Quando può essere avviata la mediazione familiare?

La mediazione familiare si configura come un’opzione accessibile in qualsiasi momento della crisi separativa, sia prima dell’inizio di un procedimento giudiziale che durante il suo svolgimento.

Negli ultimi anni, molti tribunali hanno adottato un approccio favorevole alla mediazione: al ricevimento di un ricorso giudiziale, invitano le parti coinvolte a considerare il percorso della mediazione, particolarmente nei mesi di attesa precedenti all’udienza. Questa modalità si basa sulla speranza che il periodo di attesa possa essere sfruttato per una riflessione più approfondita da parte della coppia, con il supporto di professionisti specializzati.

Inoltre, spesso accade che sia lo stesso giudice del procedimento in corso ad invitare le parti a ricercare una soluzione conciliativa davanti ad un mediatore familiare, nell’auspicio di ridurre la conflittualità e di poter definire la causa con un accordo raggiunto dai diretti interessati con l’aiuto del mediatore.

Altre volte, sono le stesse parti coinvolte che, dopo mesi di contenzioso giudiziale, decidono di prendere un percorso diverso. Richiedono al giudice la sospensione della causa, comunicando l’intenzione di intraprendere un tentativo di mediazione familiare.

La possibilità di avvalersi della mediazione familiare durante le diverse fasi del procedimento legale sottolinea la flessibilità di questo approccio e la sua adattabilità alle esigenze specifiche delle coppie coinvolte.

 

Guida alla separazione: i primi 5 passi

La separazione rappresenta un momento estremamente delicato nella vita di una persona, caratterizzato da emozioni intense che richiedono una gestione attenta. Pertanto, è importante non  farsi travolgere dai sentimenti e cercare di mantenere la lucidità necessaria per affrontare al meglio e in modo costruttivo questo periodo.

Stai pensando di separarti?

Ecco alcuni suggerimenti legali su come gestire la fase iniziale della separazione:

1- Chiama l’avvocato

Prima di prendere qualsiasi decisione durante questa fase cruciale della tua vita, è fondamentale consultare un avvocato specializzato in diritto di famiglia. Questo passo ti aiuterà a comprendere i tuoi diritti e doveri durante la separazione, consentendoti di valutare soluzioni che garantiscano la migliore tutela per i tuoi interessi e di quelli dei tuoi figli.

2 – Comunica con il coniuge

Cerca di mantenere un dialogo aperto e costruttivo con il tuo coniuge, specialmente se ci sono figli coinvolti. Risolvere le questioni in modo amichevole è preferibile, ma evita di prendere decisioni legali senza prima aver consultato un avvocato.

3- Tutela i tuoi figli

Evita di coinvolgere i figli nel conflitto. Durante la delicata fase della separazione, è cruciale fornire ai figli il supporto e l’assistenza di entrambi i genitori, agendo con buon senso e evitando di farsi travolgere dalle emozioni negative.

4 – Raccogli i documenti finanziari

Raccogli con cura tutti i documenti finanziari pertinenti, come estratti dei conti correnti bancari, dichiarazioni dei redditi, contratti di lavoro e altri documenti utili per ricostruire accuratamente la situazione economica tua e del tuo coniuge.

5 – Non lasciare la casa coniugale

Per le persone sposate, vivere sotto lo stesso tetto è un obbligo di legge. A meno che non ci siano gravi motivi come violenze o maltrattamenti, lasciare la casa coniugale senza l’autorizzazione scritta dell’altro coniuge può comportare conseguenze giuridiche significative nella procedura di separazione. Consulta sempre un avvocato prima di prendere questa decisione!

 

Ricorda che questi sono soltanto consigli generali e che è essenziale ottenere consulenza legale personalizzata in base alla tua situazione specifica. Un avvocato matrimonialista competente ed esperto della materia del diritto di famiglia può guidarti attraverso il percorso legale, assicurando la protezione dei tuoi interessi.

Separazione conviventi con figli: cosa fare?

A differenza delle persone sposate, le persone che convivono non hanno l’obbligo di avere un atto ufficiale che renda effettiva la separazione: quando il rapporto giunge al termine, è sufficiente interrompere la convivenza.

 

Quando ci sono figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti

Tuttavia, in presenza di figli la situazione è più delicata: infatti, i genitori conservano, anche dopo la fine dalla convivenza, l’obbligo di provvedere all’assistenza e al mantenimento dei figli, supportandoli economicamente e trascorrendo con loro tempo adeguato a mantenere e rafforzare il legame.

Pertanto, in presenza di figli è consigliabile disciplinare in modo formale i rapporti, al fine di evitare situazioni indefinite nelle quali la volontà di uno dei genitori possa diventare prevalente, creando probabili conflitti: avere regole definite sull’affidamento, il calendario delle visite ai figli, l’utilizzo della casa familiare e il mantenimento è il primo passo per creare un nuovo equilibrio e per dare stabilità ai figli.

 

Quali procedure?

La regolamentazione dei rapporti si può raggiungere in due modi:

1. mediante un accordo,

cioè definendo assieme le modalità di gestione dei figli, con il supporto dell’avvocato o di un mediatore familiare.

L’accordo può essere formalizzato innanzi al tribunale tramite un ricorso congiunto, nel quale sono specificate le regole che si chiede vengano ratificate. In questo caso, è sufficiente un solo avvocato per entrambi i genitori e si può scegliere di non comparire personalmente davanti al giudice.

In alternativa, l’accordo si può ufficializzare mediante la procedura di negoziazione assistita davanti a due avvocati, uno per ciascun genitore, senza necessità di passare dal tribunale.
Gli avvocati si occuperanno della redazione dell’accordo e di tutti gli incombenti formali necessari per dargli la stessa efficacia del provvedimento del tribunale;

2. mediante un procedimento contenzioso:

quando non è possibile raggiungere regole condivise, ciascuno dei genitori è libero di depositare un ricorso giudiziale, formulando le proprie domande e rimettendo la decisione al tribunale.

Una volta ricevuto il ricorso, il tribunale fissa l’udienza di discussione. Il ricorso viene quindi notificato all’altra parte, la quale avrà modo di formulare le proprie richieste prima dell’udienza. Entrambi gli ex conviventi potranno poi depositare ulteriori memorie prima di presentarsi davanti al giudice.
All’udienza, il giudice ascolterà entrambe le parti, proporrà una soluzione conciliativa che, qualora accettata da entrambe le parti, verrà trasferita in un provvedimento giudiziale definitivo.

Invece nel caso permanga il disaccordo tra gli ex conviventi, sarà il giudice a decidere, adottando le regole che riterrà meglio rispondenti all’interesse dei figli, garantendo così fin dall’immediato una regolamentazione provvisoria dei rapporti. Il giudizio poi proseguirà per gli approfondimenti istruttori (testimonianze, consulenza tecniche, indagini sui redditi) richiesti dalle parti e ritenuti opportuni dal giudice.

 

Come si calcola l’assegno per i figli?

Per calcolare l’ammontare del contributo dovuto per il mantenimento dei figli, minorenni o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, si deve fare riferimento al principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto.

Lo ha stabilito la Cassazione nell’ordinanza del 22 novembre 2023 n. 32466.

Il caso

Il ricorso riguardava una controversia sul contributo economico dovuto dal padre per il mantenimento di un figlio minore. La Corte d’Appello aveva precedentemente stabilito che nonostante una riduzione dei redditi, il padre aveva ancora risorse sufficienti grazie a contratti con società calcistiche.
Il genitore ha presentato ricorso per cassazione, affermando che la Corte d’Appello aveva violato il principio di proporzionalità e non aveva considerato adeguatamente la sua situazione economica.

La decisione

La Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso e ha sottolineato che, per quantificare il contributo al mantenimento dei figli, è necessaria la comparazione dei redditi di entrambi i genitori, considerando anche le esigenze attuali del figlio e il tenore di vita.
La Cassazione ha evidenziato che la Corte d’Appello non aveva indagato sulle risorse patrimoniali e reddituali della madre convivente con il figlio, nonostante le specifiche richieste del padre. Di conseguenza, la Cassazione ha annullato la decisione impugnata e ha rinviato il caso alla Corte d’Appello di Napoli in una diversa composizione per una nuova valutazione, inclusa la liquidazione delle spese del giudizio.

Fonte: Cassazione ordinanza n. 32466 del 22 novembre 2023.

Per il rilascio del passaporto non serve (più) il consenso dell’altro genitore

Il decreto legge n. 69/2023, entrato in vigore il 14 giugno 2023, ha cambiato le regole per ottenere il passaporto in Italia. In precedenza, in presenza di figli minorenni, per il rilascio e per il rinnovo del passaporto di uno dei genitori era sempre necessario il consenso dell’altro.

Ora non è più così: un genitore che vuole il rilascio o il rinnovo del suo passaporto non ha più bisogno del consenso dell’altro. Resta obbligatorio il consenso di entrambi i genitori o di chi ne ha la responsabilità soltanto per il rilascio del passaporto dei minorenni.

Cosa può fare l’altro genitore se non è d’accordo per il rilascio del passaporto?

Se uno dei genitori intende opporsi al rilascio o al rinnovo del passaporto dell’altro, deve presentare istanza al giudice, indicando le motivazioni a fondamento della domanda.

Il tribunale, nel rispetto del principio di proporzionalità e tenendo conto della normativa interna e internazionale in materia di responsabilità genitoriale, mantenimento e sottrazione internazionale di minori,  emette un divieto (inibitoria) quando vi è rischio reale che il genitore, recandosi all’estero, possa venire meno ai suoi doveri verso i figli. Se la richiesta viene accolta, il giudice stabilisce per quanto tempo rimarrà in vigore l’inibitoria, che comunque non può superare i due anni.

La richiesta dev’ essere presentata al tribunale nel luogo in cui il minore ha la residenza abituale. Se è già in corso una procedura legale tra le stesse persone, la richiesta va presentata al giudice di quella procedura. Se il minore vive all’estero, la richiesta va presentata al tribunale in Italia dove viveva prima o al tribunale nella zona in cui il minore è registrato all’AIRE.

La domanda di inibitoria può essere presentata anche dal Pubblico Ministero.

 

Fonte: Art. 20 del decreto legge n. 69 del 13 giugno 2023.

Il diritto alla bigenitorialità: fondamentale per lo sviluppo armonioso dei bambini

Il diritto alla bigenitorialità è un principio fondamentale nel contesto giuridico familiare, sottolinea l’importanza dell’interazione continua e positiva dei genitori nella vita dei propri figli.

Questo concetto si basa sull’idea che, quando possibile, entrambi i genitori dovrebbero essere coinvolti nella crescita e nell’educazione dei loro figli, promuovendo così uno sviluppo sano e armonioso.

Innanzitutto, è importante comprendere che la bigenitorialità non riguarda soltanto il tempo trascorso con i figli, ma anche la partecipazione attiva e responsabile nell’assumere le decisioni cruciali per il loro benessere. Questo diritto è sancito nel nostro ordinamento dall’art. 337 ter del codice civile, con l’obiettivo di garantire che entrambi i genitori abbiano l’opportunità di costruire un legame significativo con i propri figli, contribuendo così alla formazione di una solida base emotiva e psicologica.

La bigenitorialità è diritto dei minori anche nelle situazioni di separazione o divorzio. In tali circostanze, è essenziale superare le divergenze personali e concentrarsi sul bene superiore dei bambini. La legislazione in molti paesi promuove accordi di affidamento e custodia condivisa, incoraggiando la cooperazione tra i genitori per garantire che i figli possano mantenere relazioni significative con entrambi i genitori e con i parenti di entrambi i rami.

Studi psicologici sostengono l’importanza della presenza di entrambi i genitori nella vita di un bambino. La diversità di stili educativi, quando gestita in modo coeso, può arricchire l’esperienza di crescita del minore, offrendogli una prospettiva equilibrata del mondo. Inoltre, la presenza costante di entrambe le figure genitoriali può svolgere un ruolo chiave nel fornire un sostegno emotivo stabile, fondamentale per il benessere psicologico dei bambini.

Tuttavia, è cruciale sottolineare che la bigenitorialità non è sempre possibile o appropriata in tutte le situazioni. Ci sono casi in cui la presenza di uno dei genitori potrebbe rappresentare un rischio per il benessere del bambino, come in situazioni di abuso o negligenza o quando la conflittualità tra i genitori è talmente elevata da non consentire loro alcuna forma di dialogo costruttivo. In tali circostanze, il giudice può intervenire per proteggere il bambino, prendendo decisioni mirate a garantire la sua sicurezza.

Per garantire l’efficacia del diritto alla bigenitorialità, è fondamentale promuovere una cultura di rispetto reciproco tra genitori, incoraggiando la comunicazione aperta e la collaborazione nella presa di decisioni importanti per i figli. La mediazione familiare può rappresentare un valido strumento per risolvere dispute e conflitti, facilitando la creazione di accordi che tengano conto delle esigenze di tutti i membri della famiglia.

In conclusione, il diritto alla bigenitorialità è un pilastro essenziale nel garantire il benessere dei bambini. Quando entrambi i genitori sono coinvolti positivamente nella vita dei propri figli, si crea un ambiente favorevole allo sviluppo sano e armonioso dei bambini, promuovendo relazioni stabili e un futuro equilibrato.

Separazione e divorzio insieme: oggi è possibile

Tra le più importanti novità introdotte dalla Riforma Cartabia vi è la possibilità di richiedere il divorzio insieme alla separazione.

In passato, il procedimento di divorzio poteva essere avviato soltanto a distanza di un certo tempo dalla separazione, e più esattamente dopo sei mesi, se la separazione era consensuale, o dopo un anno, in caso di separazione giudiziale. Ora invece separazione e divorzio possono formare oggetto del medesimo procedimento ed essere trattate dallo stesso giudice.
Lo prevede espressamente il nuovo art. 473 bis.49 del codice di procedura civile.

La norma di riferimento

Secondo tale norma al momento di avvio del procedimento di separazione si può chiedere anche la pronuncia del divorzio (in gergo tecnico, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, a seconda del rito di celebrazione delle nozze).
La regola è prevista per le separazioni giudiziali, vale a dire quelle che vedono le parti in contrasto tra di loro sulle condizioni dell’assetto separativo (a titolo esemplificativo, sull’assegnazione della casa, sulla gestione dei figli o sul mantenimento).

Cosa accade in caso di separazione consensuale?

L’ipotesi di separazione consensuale non è contemplata dalla norma e pertanto la possibilità di separarsi e divorziare consensualmente nello stesso procedimento è una questione aperta.

Vari tribunali italiani si sono pronunciati sul tema, adottando però soluzioni diverse. Alcuni tribunali (Genova e Milano, ad esempio) applicano in senso estensivo l’art. 473 bis.19 del codice di procedura civile e consentono il cumulo di separazione e divorzio anche nei ricorsi consensuali.
Altri (tra cui Ferrara e Bari) non lo consentono: tale posizione restrittiva, frutto di una interpretazione letterale della nuova norma, si rifà all’orientamento interpretativo della Corte di Cassazione che da sempre ritiene nulli e invalidi i patti prematrimoniali e gli accordi di divorzio preventivi.
Di recente, il Tribunale di Treviso ha rimesso a questione alla Corte di Cassazione, la quale potrà chiarire la questione.

Quali sono i vantaggi del cumulo di separazione e divorzio?

Il principale vantaggio è evitare la duplicazione dei procedimenti, considerato che spesso le questioni oggetto della causa di separazione coincidono con quelle oggetto del divorzio. Accorpando i due procedimenti si risparmia tempo e si può ottenere più velocemente una regolamentazione definitiva dei rapporti.

Attenzione però: la riforma Cartabia non ha abrogato la norma che stabilisce che in caso di separazione giudiziale debba decorrere un anno dalla prima udienza della separazione per poter chiedere il divorzio. Pertanto, anche in caso di cumulo della domanda di separazione e divorzio, occorrerà attendere un anno dalla prima udienza della causa affinchè il tribunale possa emettere la sentenza di divorzio.

E’ obbligatorio chiedere insieme separazione e divorzio?

No, si tratta di una facoltà. La scelta va fatta assieme al proprio avvocato, tenendo conto delle caratteristiche della specifica vicenda familiare, degli obbiettivi che si vogliono ottenere e della miglior tutela dei propri diritti e interessi.
Non sempre, infatti, può essere opportuno presentare la domanda di divorzio insieme alla separazione.