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Niente imposte e tasse per le cessioni immobiliari nella separazione e nel divorzio

Gli ultimi interventi legislativi in tema di separazione e divorzio vanno tutti nel senso del riconoscimento di una sempre maggiore autonomia negoziale alle parti. Si pensi alla normativa in materia di negoziazione assistita, con cui la separazione, il divorzio e la modifica delle condizioni di separazione e di divorzio sono state svincolate dal passaggio in Tribunale, prima necessario.
In tale modo é stato riconosciuto un ruolo centrale alla libertà dei coniugi di disciplinare i reciproci rapporti, personali e patrimoniali, nella crisi coniugale.

Sulla stessa scia si colloca l’interpretazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione, la quale é da ultimo intervenuta sul dibattuto tema dell’esenzione fiscale degli accordi patrimoniali, inclusi i trasferimenti immobiliari, inseriti dai coniugi negli accordi di separazione e di divorzio.

Al riguardo, vale ricordare che l’art.19 della legge 74/87, di modifica della legge 898/70 sul divorzio, ha sancito che “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”.

La norma – applicabile anche alla separazione personale a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale (sent. n. 154/99) – non presenta una formulazione chiara, ed in particolare ha generato dubbi interpretativi il termine “relativi” utilizzato per indicare gli “atti, documenti e provvedimenti ” esenti da tassazione.

Con una sentenza del 2001, la Corte di Cassazione aveva cercato di fare chiarezza, operando una distinzione tra accordi essenziali, che costituiscono il contenuto tipico della separazione o del divorzio, vale a dire la regolamentazione dei rapporti con i figli, l’ assegnazione della casa familiare ed il mantenimento) ed accordi occasionali, che sono stati raggiunti in occasione ed al momento della separazione o del divorzio, ma che non sono indispensabile ai fini della separazione o del divorzio. Tipico esempio di accordo occasione è il trasferimento della proprietà della casa coniugale o di una quota di essa da un coniuge all’altro ovvero il trasferimento della proprietà di altri beni immobili o mobili registrati.
Sulla base di questo distinguo, la Cassazione aveva precisato che l’esenzione fiscale operava soltanto per gli accordi essenziali, e non per gli accordi occasionali, i quali erano invece soggetti all’ordinario regime fiscale (Cass. civ. n. 1531/2001).
L’obiettivo era evitare condotte elusive, consistenti nell’inserimento nelle condizioni di separazione o di divorzio di patti traslativi, non effettivamente pertinenti con la separazione o il divorzio, al solo scopo di fruire dell’esenzione.

La recente sentenza n. 2111/16 del 3.2.2016 ha superato questa interpretazione, ed ha riconosciuto dunque l’applicabilità dell’esenzione da imposte e tasse di tutti gli accordi, inclusi i trasferimenti immobiliari, conclusi dai coniugi in sede di separazione o divorzio.
La Suprema Corte ha sottolineato come l’orientamento del 2001 sia oggi del tutto obsoleto, sia alla luce dell’evoluzione della normativa fiscale in materia di abuso del diritto (art. 10 bis della legge 212/2000, introdotto dal d. Lgs. 128/2015), sia in considerazione della recente apertura legislativa alla libertà negoziale dei coniugi.
Sottolineano i giudici delle leggi che oggi il consenso e l’accordo dei coniugi hanno un ruolo centrale nella definizione della crisi coniugale e nella regolamentazione dei rapporti reciproci, anche patrimoniali. Pertanto, tutti gli accordi raggiunti nell’ambito della definizione consensuale della separazione e del divorzio, comprese le cessioni di immobili, beneficiano dell’esenzione di cui all’art. 19.

Fonte: Cass. civ. sentenza n. 2111/2016 del 3.2.2016.

Assegno di divorzio: la Corte Costituzionale supera il “dogma” del tenore di vita coniugale

L’assegno post matrimoniale è un istituto creato e concepito all’inizio degli Anni 70, con la legge sul divorzio (è previsto dall’art. 5 della legge 898/70, poi modificata dalla legge 74/1987).

Esso in sostanza sancisce il permanere di un vincolo solidaristico tra i coniugi, anche dopo lo scioglimento del matrimonio: pronunciando il divorzio, il giudice può disporre in favore del coniuge che non disponga di mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive un assegno mensile.

L’adeguatezza viene riferita al tenore di vita matrimoniale.
L’interpretazione giurisprudenziale ha univocamente chiarito che l’assegno di divorzio assolve una funzione prettamente assistenziale, presupponendo una condizione di bisogno del coniuge destinatario dell’assegno.

Su questo filone è da ultimo intervenuta la Consulta, la quale, investita della questione di legittimità costituzionale della norma citata, per possibile contrasto con gli art. 2, 3 e 29 della Carta costituzionale, ha dichiarato infondata la questione, svolgendo tuttavia autorevoli e qualificate precisazioni circa il parametro del “tenore di vita”.

Più esattamente, la Corte Costituzionale, facendo proprio l’orientamento dei giudici di legittimità, ha acclarato che il parametro del “tenore di vita” non integra l’unico parametro di riferimento ai fini della quantificazione dell’assegno, ma va valutato e bilanciato con gli ulteriori parametri elencati nell’art. 5 legge div. (le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi, la durata del matrimonio).

In sostanza, afferma la Consulta, il giudice del divorzio deve compiere un duplice ragionamento: dapprima, in astratto, deve valutare la sussistenza dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge meno abbiente alla luce del tenore di vita coniugale, quindi, in concreto, quantificare la misura dell’ipotetico assegno sulla base degli ulteriori parametri di cui sopra, i quali agiscono come fattore di moderazione e di diminuzione della somma considerata in astratto, giungendo anche ad azzerarla.

Fonte: Corte Costituzionale, sent. n. 11 dell’11.2.2015 in www.cortecostituzionale.it