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Assegno di mantenimento nella separazione e tenore di vita

L’assegno di mantenimento è uno degli aspetti più delicati e dibattuti nelle cause di separazione personale tra coniugi. Questo istituto giuridico, regolato dal codice civile, mira a garantire un equilibrio economico tra i coniugi separati, salvaguardando chi si trova in una posizione finanziaria più debole a seguito della fine del rapporto matrimoniale.

In questo articolo, analizziamo i criteri di determinazione, le modalità di pagamento, le differenze rispetto all’assegno divorzile, la durata e i casi in cui il diritto all’assegno può essere revocato.

Cos’è l’assegno di mantenimento e a chi spetta

L’assegno di mantenimento è un importo periodico che il coniuge economicamente più forte è tenuto a versare all’altro in caso di separazione personale. La sua finalità è garantire al coniuge beneficiario un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto durante il matrimonio.
Per ottenere l’assegno, il coniuge richiedente deve dimostrare di avere una condizione economica inferiore a quella dell’altro e di non essere in grado, da solo, di mantenere il medesimo standard di vita goduto durante il matrimonio.

Come si determina l’importo dell’assegno

L’importo dell’assegno di mantenimento viene stabilito dal giudice, che valuta una serie di elementi, tra cui

  • la disparità economica tra i coniugi, analizzando redditi, patrimoni, e il contributo fornito alla vita familiare;
  • la durata del matrimonio: un’unione lunga tende a giustificare assegni più consistenti rispetto a matrimoni di breve durata;
  • il tenore di vita coniugale: tendenzialmente l’assegno è finalizzato a far sì che il coniuge economicamente più debole possa mantenere un tenore di vita analogo a quello avuto durante la convivenza coniugale;
  •  l’età e le condizioni di salute del richiedente: rilevano ai fini della valutazione della capacità lavorativa concreta del coniuge economicamente più debole.

Il giudice si avvale dell’esame della documentazione economica di ciascun coniuge, come dichiarazioni dei redditi, estratti conto dei conti correnti bancari e postali, valore delle proprietà immobiliari e dei beni di proprietà di ciascuno, bilanci delle società possedute dai coniugi, ecc. In determinati casi, può disporre accertamenti tributari o una consulenza tecnica contabile per stabilire un quadro completo della condizione economica delle parti.

Modalità di pagamento e durata

L’assegno di mantenimento viene corrisposto in forma di somma mensile da versarsi in modo continuativo mediante bonifico entro i primi giorni di ogni mese.

In generale il pagamento è dovuto fino a che perdura la separazione, a meno che non intervengano eventi che modificano l’assetto economico delle parti, quali a titolo esemplificativo

  • il miglioramento della situazione economica del beneficiario: se il coniuge che percepisce l’assegno trova un lavoro o riceve un’eredità consistente, il diritto a percepire l’assegno può venire meno oppure può ne venire ridotto l’importo;
  • il peggioramento della condizione economica del coniuge tenuto al pagamento dell’assegno,
  • la convivenza del beneficiario con un’altra persona: anche in questo caso è possibile che l’assegno venga ridotto o anche revocato.

La modifica o la revoca dell’assegno vanno concordati tra i coniugi in un atto ufficiale avente lo stesso valore giuridico dell’accordo di separazione. Può trattarsi di un accordo di negoziazione assistita oppure di un ricorso congiunto da sottoporre alla ratifica del tribunale. In caso di mancato accordo, il coniuge che ha interesse può chiede la riduzione o la revoca dell’assegno rivolgendosi al tribunale, mediante un procedimento contenzioso.

Quando interviene il divorzio, l’assegno di mantenimento può venire meno del tutto oppure può essere sostituito dall’assegno divorzile.

L’assegno di mantenimento è diverso dall’assegno divorzile

L’assegno di mantenimento e l’assegno di divorzio si fondano su presupposti diversi. Lo ha ribadito anche di recente la Corte di Cassazione, Sezione I, nell’ordinanza del 22 novembre 2024, n. 30119, la quale ha evidenziato come la separazione, pur interrompendo la comunione materiale e spirituale tra i coniugi, non estingua del tutto i diritti e doveri derivanti dal matrimonio.

Ed infatti, la separazione personale, a differenza dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale. Questo significa che anche se i coniugi sono separati resta attuale il dovere di assistenza materiale, vengono meno solo gli obblighi personali di fedeltà, convivenza e collaborazione.

La Cassazione ha precisato che sulla scorta di questi principi l’assegno di mantenimento va calcolato tenendo conto del tenore di vita coniugale.

Diversamente, al momento del divorzio (scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio) viene meno il dovere di assistenza materiale tipico della separazione, rimane soltanto un dovere di solidarietà post-coniugale che ha principalmente una funzione assistenziale.

In conclusione

L’assegno di mantenimento è uno strumento essenziale per tutelare il coniuge economicamente più debole durante la separazione personale, assicurandogli una continuità economica. Tuttavia, è importante ricordare che si tratta di una misura legata alla persistenza del vincolo coniugale e distinta per natura e finalità dall’assegno di divorzio.

Per affrontare con serenità e consapevolezza gli aspetti economici della separazione, il nostro studio legale offre consulenza personalizzata e supporto in ogni fase del procedimento. Contattaci per fissare un appuntamento e ricevere l’assistenza di cui hai bisogno.

Un nuovo passo importante nel mio percorso professionale

Il 16 settembre 2024 ho conseguito il titolo di Avvocato Specialista in Diritto della Persona, delle Relazioni Familiari e dei Minorenni, superando l’esame presso il Consiglio Nazionale Forense (CNF). Questo riconoscimento rappresenta per me un passo significativo in un percorso che, da oltre vent’anni, mi vede impegnata nel diritto di famiglia e nella tutela delle persone in momenti spesso delicati della loro vita.

Cosa significa questo riconoscimento?

Il titolo di avvocato specialista certifica competenze approfondite e riconosciute in un ambito specifico del diritto. Per chi, come me, si occupa di diritto della persona e delle relazioni familiari, vuol dire poter offrire un supporto ancora più qualificato su questioni fondamentali come:

– separazioni e divorzi;

– affidamento e tutela dei figli minori;

– contratti e unioni civili;

– successioni e diritti patrimoniali della famiglia;

– protezione delle persone vulnerabili, come minori e soggetti fragili.

Essere specialista non significa solo conoscere le leggi, ma anche sapere come applicarle con attenzione alle specificità di ogni caso, cercando soluzioni che rispettino il benessere e i diritti delle persone coinvolte.

 

Un impegno continuo al fianco delle persone

Nel corso degli anni ho avuto il privilegio di affiancare molte persone, ciascuna con la propria storia, le proprie sfide e i propri obiettivi. Ogni esperienza ha arricchito il mio bagaglio professionale e umano, insegnandomi quanto sia importante un approccio fatto di ascolto, empatia e competenza tecnica.

Questo nuovo titolo non cambia il mio modo di lavorare, ma conferma l’impegno e la dedizione che ho sempre messo nel mio lavoro. È una tappa importante, ma non un traguardo: il mio obiettivo è continuare a crescere e a mettere le mie competenze al servizio di chi ha bisogno.

 

Per chi si affida al mio studio

In un momento storico in cui il diritto di famiglia sta vivendo importanti cambiamenti, poter contare su un professionista specializzato è fondamentale. Il mio studio si impegna ogni giorno per offrire un supporto giuridico qualificato e umano, capace di adattarsi alle esigenze specifiche di ogni persona e di ogni famiglia.

Se avete bisogno di assistenza o informazioni su temi legati al diritto di famiglia, sono a vostra disposizione per affiancarvi con serietà e professionalità.

Grazie a chi ha scelto di affidarsi a me lungo questi anni. Questo risultato è anche il frutto del rapporto di fiducia costruito insieme.

 

Avv. Barbara D’Angelo

Divorzio: quanto conta la convivenza prematrimoniale?

La convivenza prematrimoniale è sempre più riconosciuta non solo come una fase preparatoria al matrimonio, ma anche come un elemento significativo nelle decisioni relative al divorzio.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno infatti recentemente stabilito che la durata della convivenza precedente il matrimonio dev’essere tenuta in considerazione nella determinazione dell’assegno di divorzio, al pari della durata del rapporto matrimoniale vero e proprio, successivo alle nozze.
La decisione, di importanza storica, riflette il cambiamento dei costumi e riconosce l’importanza dei legami di fatto nella società contemporanea.

La valenza della convivenza prematrimoniale

Secondo la Corte di Cassazione, la convivenza prematrimoniale deve essere considerata quando si decide sull’assegno di divorzio e sulla sua quantificazione. Questo riconoscimento tiene conto delle convivenze di fatto come formazioni familiari e sociali di pari dignità rispetto a quelle matrimoniali. La legge sul divorzio del 1970, infatti, non contemplava la convivenza prematrimoniale, essendo quest’ultima molto rara all’epoca. Oggi, però, la realtà è cambiata e la convivenza prematrimoniale è diventata un fenomeno radicato nei comportamenti sociali.

Il contributo economico e le rinunce

La Suprema Corte ha ribadito che l’assegno di divorzio ha una natura assistenziale, perequativa e compensativa. Pertanto, nel decidere sull’assegno, il giudice deve considerare la convivenza prematrimoniale quando questa presenta connotati di stabilità e continuità e quando è basata su un progetto di vita comune che ha comportato reciproche contribuzioni economiche. È fondamentale valutare il contributo di ciascun partner alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale.

In particolare, il giudice deve verificare se la coppia durante la convivenza prematrimoniale abbia fatto scelte condivise che abbiano poi influenzato la vita matrimoniale. Queste scelte possono includere sacrifici o rinunce, specialmente in ambito lavorativo o professionale, del coniuge economicamente più debole, che può risultare incapace di disporre ai adeguate risorse economiche dopo il divorzio. Tali sacrifici o rinunce devono essere dimostrati e collegati causalmente alla situazione economica post-divorzio.

In conclusione

La convivenza prematrimoniale è ora riconosciuta come un elemento significativo nel determinare il diritto e l’ammontare dell’assegno di divorzio. Questo riconoscimento da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è un passo avanti nella tutela dei diritti dei conviventi e riflette un adeguamento dell’interpretazione giurisprudenziale ai cambiamenti sociali.
Per le coppie che decidono di convivere prima del matrimonio, è essenziale essere consapevoli delle implicazioni legali di questa scelta, e consultare un avvocato esperto della materia può fornire un supporto fondamentale per affrontare al meglio le eventuali future decisioni legali.

Fonte: Corte di Cassazione, Sez. Unite, sentenza n. 35385 del 18.12.2023

Assegnazione della casa familiare: i figli al centro della decisione

Con la recente sentenza del 28 giugno 2024 la Corte d’appello di Milano ha ribadito ancora una volta come la decisione relativa all’assegnazione della casa familiare debba essere guidata esclusivamente dagli interessi dei figli.

Il caso deciso

Il caso esaminato dalla Corte d’appello di Milano nella sentenza in esame riguardava un minore collocato presso il padre nella casa familiare di proprietà della madre, decisione impugnata dalla madre che richiedeva l’assegnazione a suo favore dell’abitazione, sostenendo che il figlio dovesse avere collocazione abitativa prevalente con lei.

La Corte d’appello ha rigettato la richiesta materna e confermato il collocamento del figlio presso il padre, evidenziando come il minore avesse stabilizzato vita e abitudini nella casa coniugale, dove viveva oramai da due anni assieme al padre e alla nuova compagna di lui. La madre peraltro risultava essersi trasferita con la figlia maggiorenne in altra regione, dove aveva comprato casa assieme al nuovo compagno.

Gli interessi dei figli

La Corte ha ribadito un principio cardine: l’assegnazione della casa familiare deve mirare principalmente alla conservazione, in favore dei figli, del domicilio dove si sono radicati abitudini ed affetti del minore. Questo approccio è in linea con quanto sancito dagli articoli 337 ter e 337 sexies del codice civile, che pongono l’accento sulla necessità di garantire un ambiente stabile e sereno per lo sviluppo del minore.

L’incidenza economica dell’assegnazione della casa familiare

Nella decisione, i giudici della Corte d’appello di Milano hanno tenuto conto non solo della stabilità abitativa del minore ma anche delle condizioni personali ed economiche dei genitori. È stata evidenziata la nuova situazione abitativa e relazionale della madre, che aveva trasferito il centro dei propri interessi in un’altra regione, e la sua parziale emancipazione economica, elementi che hanno portato a una revisione delle prescrizioni economiche disposte dal tribunale di Milano nella sentenza appellata.

Tenendo conto della valenza economica del provvedimento di assegnazione della casa familiare, la Corte ha revocato l’assegno di mantenimento del figlio a carico della madre, considerando il godimento della casa familiare (immobile di proprietà esclusiva della madre) come un adeguato contributo economico al sostentamento del figlio. Inoltre, è stato confermato l’obbligo a carico del padre di mantenimento della figlia maggiorenne convivente con la madre e solo parzialmente autosufficiente. Al riguardo, i giudici hanno anche precisato che anche se la figlia è maggiorenne l’assegno per il suo mantenimento va versato alla madre, in quanto genitore convivente.

Conclusioni

Questa sentenza della Corte d’appello di Milano riafferma l’importanza della valutazione degli interessi della prole nelle decisioni riguardanti l’assegnazione della casa familiare. Le condizioni personali ed economiche dei genitori devono sempre essere valutate alla luce del benessere e dello sviluppo equilibrato dei minori coinvolti. La stabilità abitativa, le abitudini radicate e l’ambiente familiare costituiscono elementi essenziali per il sereno sviluppo del minore e ogni decisione deve essere orientata a preservare tali aspetti.

Per ulteriori informazioni e consulenze personalizzate, lo legale studio legale è a disposizione per assistervi in tutte le questioni riguardanti il diritto di famiglia.

 

Fonte: sentenza Corte d’Appello di Milano 28 giugno 2024

Assegnazione della casa familiare nella separazione: criteri, diritti e doveri

L’assegnazione della casa familiare è una misura prevista dal nostro ordinamento per tutelare il benessere dei figli minori e garantire loro stabilità e continuità abitativa anche dopo la separazione o il divorzio dei genitori. Questo provvedimento ha come obiettivo principale la protezione degli interessi della prole, permettendo loro di continuare a vivere nell’ambiente domestico che conoscono, riducendo al minimo i traumi e i disagi derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare.

La normativa di riferimento

La regolamentazione dell’assegnazione della casa familiare è disciplinata principalmente dagli articoli 337 ter e 337 sexies del codice civile. Questi articoli stabiliscono i criteri e le modalità con cui viene deciso l’assegnazione dell’abitazione familiare, ponendo particolare attenzione agli interessi dei figli minori ed evidenziando anche i risvolti economici dell’assegnazione.

Quali sono i criteri di assegnazione?

 

  1. Interessi dei figli: la casa familiare viene assegnata al genitore con cui i figli minori convivono stabilmente. L’assegnazione mira a preservare l’ambiente domestico, le abitudini e le relazioni affettive dei minori, considerati fondamentali per il loro sviluppo equilibrato e sereno. L’assegnazione è prevista anche in presenza di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti e anche in caso di figli maggiorenni  con gravi disabilità.

 

  1. Stabilità abitativa: viene valutato il tempo e la stabilità con cui il figlio ha vissuto nella casa familiare. La continuità abitativa è considerata un elemento cruciale per evitare ulteriori traumi ai bambini.

 

  1. Condizioni economiche: anche le condizioni economiche dei genitori vengono prese in considerazione.  Il tribunale valuta l’impatto economico dell’assegnazione sia sul genitore che mantiene il possesso della casa, sia su quello che ne perde la disponibilità.

 

  1. Diritti di proprietà: Se la casa familiare è di proprietà esclusiva di uno dei genitori, questo elemento viene considerato nella decisione, ma non prevale sugli interessi della prole. L’assegnazione può comunque essere disposta a favore dell’altro genitore se ciò risponde meglio alle esigenze dei figli.

Quanto dura l’assegnazione?

L’assegnazione della casa familiare ha una durata che è strettamente legata alle esigenze dei figli . Il diritto di abitazione cessa quando i figli diventano economicamente autosufficienti. In alcuni casi, l’assegnazione può essere rivista se cambiano le condizioni personali o economiche dei genitori o dei figli.

Quali diritti e doveri discendono dall’assegnazione?

  1. Usufrutto e diritto d’abitazione: Il genitore assegnatario non acquisisce la proprietà dell’immobile, né i diritti reali di usufrutto o di abitazione, acquista più semplicemente un diritto personale di godimento dell’immobile limitato al periodo necessario per il benessere dei figli.
  2. Manutenzione e spese: Le spese di manutenzione ordinaria dell’immobile restano a carico del genitore assegnatario, mentre quelle straordinarie spettano al proprietario dell’immobile.

Nel prossimo articolo esamineremo una recente sentenza della Corte d’appello di Milano che affronta proprio il tema dell’assegnazione della casa familiare.

 

Mediazione Familiare: cos’è e come funziona

Esistono alternative che possono rendere il percorso della separazione meno doloroso e più costruttivo. Uno strumento sempre più riconosciuto nel panorama giuridico del diritto di famiglia è la mediazione familiare.

Che cos’è la mediazione familiare?

La mediazione familiare rappresenta un approccio consensuale alla risoluzione delle controversie familiari, coinvolgendo un mediatore che si pone in posizione neutra rispetto alle parti. Questo professionista facilita la comunicazione tra le parti, promuovendo un dialogo costruttivo e aiutando a raggiungere accordi soddisfacenti per entrambe le parti.

Quali vantaggi porta?

1. riduce lo stress emotivo: la mediazione offre un ambiente meno formale rispetto al tribunale, consentendo alle persone di affrontare le questioni in modo meno conflittuale, utilizzando un approccio che non riguarda soltanto i profili giuridici della separazione ma anche aspetti psicologici ed emotivi;

2. consente di risparmiare tempo e costi: a differenza di un procedimento contenzioso che può trascinarsi a lungo, la mediazione è più veloce e quando conduce ad un accordo consente di ridurre le spese legali;

3. conduce a soluzioni personalizzate: la flessibilità della mediazione consente alle parti di personalizzare le soluzioni, prendendo in considerazione le esigenze specifiche dei genitori e dei figli coinvolti;

4. preserva le relazioni familiari: la mediazione favorisce la comunicazione costruttiva, contribuendo a preservare le relazioni familiari, specialmente quelle tra genitori e figli.

La mediazione familiare è obbligatoria?

No, nel nostro ordinamento non è obbligatorio svolgere la mediazione familiare prima di rivolgersi al tribunale. Si tratta di un percorso volontario, che necessariamente richiede l’assenso e la disponibilità delle parti a mettersi in discussione e ad avvicinarsi in modo costruttivo all’altro.

Quando dura la mediazione familiare?

La mediazione non ha una durata fissa, varia a seconda delle situazioni. In alcuni casi possono bastare una decina di incontri, in altri il percorso è più lungo.

Quando può essere avviata la mediazione familiare?

La mediazione familiare si configura come un’opzione accessibile in qualsiasi momento della crisi separativa, sia prima dell’inizio di un procedimento giudiziale che durante il suo svolgimento.

Negli ultimi anni, molti tribunali hanno adottato un approccio favorevole alla mediazione: al ricevimento di un ricorso giudiziale, invitano le parti coinvolte a considerare il percorso della mediazione, particolarmente nei mesi di attesa precedenti all’udienza. Questa modalità si basa sulla speranza che il periodo di attesa possa essere sfruttato per una riflessione più approfondita da parte della coppia, con il supporto di professionisti specializzati.

Inoltre, spesso accade che sia lo stesso giudice del procedimento in corso ad invitare le parti a ricercare una soluzione conciliativa davanti ad un mediatore familiare, nell’auspicio di ridurre la conflittualità e di poter definire la causa con un accordo raggiunto dai diretti interessati con l’aiuto del mediatore.

Altre volte, sono le stesse parti coinvolte che, dopo mesi di contenzioso giudiziale, decidono di prendere un percorso diverso. Richiedono al giudice la sospensione della causa, comunicando l’intenzione di intraprendere un tentativo di mediazione familiare.

La possibilità di avvalersi della mediazione familiare durante le diverse fasi del procedimento legale sottolinea la flessibilità di questo approccio e la sua adattabilità alle esigenze specifiche delle coppie coinvolte.

 

Guida alla separazione: i primi 5 passi

La separazione rappresenta un momento estremamente delicato nella vita di una persona, caratterizzato da emozioni intense che richiedono una gestione attenta. Pertanto, è importante non  farsi travolgere dai sentimenti e cercare di mantenere la lucidità necessaria per affrontare al meglio e in modo costruttivo questo periodo.

Stai pensando di separarti?

Ecco alcuni suggerimenti legali su come gestire la fase iniziale della separazione:

1- Chiama l’avvocato

Prima di prendere qualsiasi decisione durante questa fase cruciale della tua vita, è fondamentale consultare un avvocato specializzato in diritto di famiglia. Questo passo ti aiuterà a comprendere i tuoi diritti e doveri durante la separazione, consentendoti di valutare soluzioni che garantiscano la migliore tutela per i tuoi interessi e di quelli dei tuoi figli.

2 – Comunica con il coniuge

Cerca di mantenere un dialogo aperto e costruttivo con il tuo coniuge, specialmente se ci sono figli coinvolti. Risolvere le questioni in modo amichevole è preferibile, ma evita di prendere decisioni legali senza prima aver consultato un avvocato.

3- Tutela i tuoi figli

Evita di coinvolgere i figli nel conflitto. Durante la delicata fase della separazione, è cruciale fornire ai figli il supporto e l’assistenza di entrambi i genitori, agendo con buon senso e evitando di farsi travolgere dalle emozioni negative.

4 – Raccogli i documenti finanziari

Raccogli con cura tutti i documenti finanziari pertinenti, come estratti dei conti correnti bancari, dichiarazioni dei redditi, contratti di lavoro e altri documenti utili per ricostruire accuratamente la situazione economica tua e del tuo coniuge.

5 – Non lasciare la casa coniugale

Per le persone sposate, vivere sotto lo stesso tetto è un obbligo di legge. A meno che non ci siano gravi motivi come violenze o maltrattamenti, lasciare la casa coniugale senza l’autorizzazione scritta dell’altro coniuge può comportare conseguenze giuridiche significative nella procedura di separazione. Consulta sempre un avvocato prima di prendere questa decisione!

 

Ricorda che questi sono soltanto consigli generali e che è essenziale ottenere consulenza legale personalizzata in base alla tua situazione specifica. Un avvocato matrimonialista competente ed esperto della materia del diritto di famiglia può guidarti attraverso il percorso legale, assicurando la protezione dei tuoi interessi.

Quando spetta l’assegno di mantenimento?

Con l’ordinanza n. 36178 del 28 dicembre 2023 la Corte di Cassazione ha ribadito i criteri imprescindibili per ottenere l’assegno di mantenimento nella separazione. Più specificamente, i seguenti:

a) Impossibilità di conservare il tenore di vita goduto durante il matrimonio 

La Cassazione ha affermato con chiarezza che l’assegno di mantenimento spetta al coniuge che, senza colpa, si trova nell’impossibilità oggettiva di mantenere un tenore di vita adeguato, vale a dire uno standard di vita analogo a quello che il matrimonio gli avrebbe potuto offrire.

Al riguardo, il giudice della separazione deve tener conto delle potenzialità economiche di entrambi i coniugi, da individuarsi con riferimento allo standard di vita familiare reso oggettivamente possibile dal complesso delle loro risorse economiche, in termini di redditività, capacità di spesa, garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro.

b) Condizione di debolezza economica

Ha diritto all’assegno di mantenimento il coniuge che versa in una condizione economica inferiore rispetto all’altro.

Il giudice della separazione, con sguardo attento, deve comparare le condizioni economiche di entrambi i coniugi, tenendo conto di variabili come la durata della convivenza e le prospettive future.

Nell’esame della condizioni economiche – specifica la Suprema Corte – non è necessario che il giudice si addentri in una dettagliata disamina dei patrimoni e dei redditi dei coniugi. Ciò che conta è una ricostruzione generale e attendibile, una visione d’insieme che getti luce sulla situazione economica complessiva di ciascuno dei due.

 

Fonte: Cassazione civile ordinanza n. 36178 del 28 dicembre 2023

Separazione conviventi con figli: cosa fare?

A differenza delle persone sposate, le persone che convivono non hanno l’obbligo di avere un atto ufficiale che renda effettiva la separazione: quando il rapporto giunge al termine, è sufficiente interrompere la convivenza.

 

Quando ci sono figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti

Tuttavia, in presenza di figli la situazione è più delicata: infatti, i genitori conservano, anche dopo la fine dalla convivenza, l’obbligo di provvedere all’assistenza e al mantenimento dei figli, supportandoli economicamente e trascorrendo con loro tempo adeguato a mantenere e rafforzare il legame.

Pertanto, in presenza di figli è consigliabile disciplinare in modo formale i rapporti, al fine di evitare situazioni indefinite nelle quali la volontà di uno dei genitori possa diventare prevalente, creando probabili conflitti: avere regole definite sull’affidamento, il calendario delle visite ai figli, l’utilizzo della casa familiare e il mantenimento è il primo passo per creare un nuovo equilibrio e per dare stabilità ai figli.

 

Quali procedure?

La regolamentazione dei rapporti si può raggiungere in due modi:

1. mediante un accordo,

cioè definendo assieme le modalità di gestione dei figli, con il supporto dell’avvocato o di un mediatore familiare.

L’accordo può essere formalizzato innanzi al tribunale tramite un ricorso congiunto, nel quale sono specificate le regole che si chiede vengano ratificate. In questo caso, è sufficiente un solo avvocato per entrambi i genitori e si può scegliere di non comparire personalmente davanti al giudice.

In alternativa, l’accordo si può ufficializzare mediante la procedura di negoziazione assistita davanti a due avvocati, uno per ciascun genitore, senza necessità di passare dal tribunale.
Gli avvocati si occuperanno della redazione dell’accordo e di tutti gli incombenti formali necessari per dargli la stessa efficacia del provvedimento del tribunale;

2. mediante un procedimento contenzioso:

quando non è possibile raggiungere regole condivise, ciascuno dei genitori è libero di depositare un ricorso giudiziale, formulando le proprie domande e rimettendo la decisione al tribunale.

Una volta ricevuto il ricorso, il tribunale fissa l’udienza di discussione. Il ricorso viene quindi notificato all’altra parte, la quale avrà modo di formulare le proprie richieste prima dell’udienza. Entrambi gli ex conviventi potranno poi depositare ulteriori memorie prima di presentarsi davanti al giudice.
All’udienza, il giudice ascolterà entrambe le parti, proporrà una soluzione conciliativa che, qualora accettata da entrambe le parti, verrà trasferita in un provvedimento giudiziale definitivo.

Invece nel caso permanga il disaccordo tra gli ex conviventi, sarà il giudice a decidere, adottando le regole che riterrà meglio rispondenti all’interesse dei figli, garantendo così fin dall’immediato una regolamentazione provvisoria dei rapporti. Il giudizio poi proseguirà per gli approfondimenti istruttori (testimonianze, consulenza tecniche, indagini sui redditi) richiesti dalle parti e ritenuti opportuni dal giudice.

 

Ascolto del minore: un diritto fondamentale

Nel contesto dell’ascolto del minore nell’ambito dei procedimenti giudiziari, l’art. 473-bis.4 c.p.c. ha introdotto importanti cambiamenti, superando il vecchio art. 336-bis c.p.c. Oltre a considerare le difficoltà fisiche o psichiche del minore quali elementi ostativi all’ascolto, ora si tiene conto anche della sua volontà di non essere ascoltato.

La nuova disposizione conferma che l’ascolto del minore non è soltanto un elemento procedurale, ma un diritto fondamentale della persona del minore. È uno strumento cruciale per proteggere l’interesse del minore e fare in modo che le decisioni più importanti per la sua vita siano prese considerando la sua volontà e i suoi sentimenti.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, nella recente sentenza dell’11 dicembre 2023 n. 34560.

Il caso

La sentenza riguarda un caso di risarcimento del danno da fatto illecito in ambito familiare: la madre di un minore era stata condannata in primo grado e in appello a risarcire i danni provocati all’ex marito cui aveva impedito di vedere il figlio, danni quantificati nell’importo di circa 35.000,00 €.

La signora si rivolge quindi alla Corte di Cassazione lamentando un vizio di legittimità del procedimento, nel quale non era stato sentito il figlio minore, a suo avviso parte interessata alle vicende oggetto di causa.

La Corte d’Appello, in particolare, aveva respinto la richiesta sottolineando che l’audizione del figlio era superflua, poiché si trattava di un giudizio di risarcimento danni tra i genitori, e quindi di una lite che riguardava soltanto gli adulti, non direttamente il minore.

La decisione

La Cassazione ha respinto il ricorso della madre, sostenendo che il procedimento in questione non rientrava tra quelli in cui il minore dev’essere ascoltato, non trattandosi di un procedimento nel quale il figlio è a tutti gli effetti parte del processo e nel quale si decidono questioni che lo riguardano direttamente. Questa decisione riflette l’applicazione corretta delle normative che regolano l’ascolto del minore.

La pronuncia è molto interessante, poiché ricostruisce in modo dettagliato l’evoluzione dell’istituto dell’ascolto del minore e chiarisce che l’ascolto del minore è un elemento chiave per garantire un processo giusto e equo, tenendo conto dei suoi interessi specifici.

La natura giuridica dell’ascolto del minore

Il diritto all’ascolto del minore è stato rafforzato a livello internazionale e nazionale, riconoscendo la sua natura di diritto fondamentale.

In ambito nazionale già con la legge n. 219 del 2012 si è affermata la necessità di ascoltare il minore ultradodicenne nei procedimenti che lo riguardano.

Più di recente, la riforma entrata in vigore il 28 febbraio 2023, ha introdotto l’art. 473-bis.4 c.p.c. nel quale viene precisato che nella decisione sull’ascolto del minore si deve tenere conto anche della volontà del minore di non essere ascoltato.

Ciò conferma che l’ascolto del minore non è solo un incombente processuale, ma un diritto sostanziale: si tratta di una modalità tra le più rilevanti, di riconoscimento del diritto fondamentale del minore ad essere informato ed esprimere la propria opinione e le proprie opzioni nei procedimenti che lo riguardano, e gli consente dunque di partecipare alle decisioni relative alla sua sfera individuale, configurandosi come uno strumento di tutela e conseguimento del suo interesse nell’ambito del procedimento.

L’ascolto del minore è dunque un diritto fondamentale della persona del minore, uno strumento essenziale per garantire che le decisioni giuridiche tengano conto della volontà e dei sentimenti del minore.

 

Fonte: Corte di Cassazione sentenza n. 34560 dell’11 dicembre 2023.