amministratore di sostegno

Amministratore di sostegno: cos’è, destinatari, effetti

Una figura innovativa e senz’altro fondamentale per la tutela di quei soggetti deboli, impossibilitati a provvedere ai propri interessi: questo è l’amministratore di sostegno, introdotto nel nostro ordinamento con la Legge 6/2004. Vediamo insieme che cosa è di preciso, chi sono i destinatari e quali sono gli effetti di una richiesta di amministrazione di sostegno.

Che cos’è l’amministrazione di sostegno?

L’amministratore di sostegno è una figura chiamata ad assistere un soggetto beneficiario impossibilitato a provvedere ai propri interessi poiché si trova in una condizione di fragilità esistenziale e non è in grado di attendere autonomamente ai propri interessi. È dunque una misura di protezione che mira a tutelare e a rappresentare chi si trova in una situazione di infermità fisica o psichica, sia essa temporanea o permanente.

L’ambito dei poteri dell’amministratore di sostegno è stabilito con decreto motivato del Giudice Tutelare. Il tutto, va specificato, con la minore limitazione possibile della capacità di agire del beneficiario dell’amministrazione di sostegno. Il Giudice Tutelare stabilisce infatti le attività che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore. Tutti gli atti non indicati nel decreto, pertanto, non rappresentano una limitazione, come si evince dall’art. 409 del Codice Civile, in cui è stabilito che il beneficiario “conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno”.

Chi sono i potenziali beneficiari dell’amministrazione di sostegno?

L’amministrazione di sostegno è una misura di protezione duttile e plasmabile a seconda delle caratteristiche del caso specifico. Può, dunque, essere applicata in una grande varietà di situazioni, ogni qualvolta vi sia una condizione di fragilità della persona.

Possibili destinatari dell’amministrazione di sostegno sono:

  • malati psichiatrici o persone affette da patologie della sfera psichica;
  • anziani;
  • persone affette da Morbo di Alzheimer o demenza senile;
  • persone disabili;
  • alcolisti;
  • tossicodipendenti;
  • persone affette da ludopatie;
  • sordomuti e ciechi;
  • prodighi.

Quali sono gli effetti della nomina di un amministratore di sostegno?

Come abbiamo visto, l’art. 409 c.c. stabilisce che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno è pienamente capace nell’esercizio dei suoi diritti per tutti gli atti non espressamente stabiliti nel decreto. Per tutti gli atti riportati dal Giudice Tutelare, invece, l’amministratore di sostegno può essere chiamato ad agire o in assistenza del beneficiario (insieme al beneficiario) oppure in rappresentanza esclusiva (in nome e per conto dello stesso).

In quest’ultimo caso, si possono distinguere due ulteriori situazioni:
1) Per gli atti di ordinaria amministrazione (ad esempio l’acquisto di beni mobili) l’amministratore può agire anche senza preventiva autorizzazione del Giudice (salvo il caso in cui sia stato stabilito diversamente dal decreto);
2) Per gli atti di straordinaria amministrazione (ad esempio l’acquisto di un bene immobile) l’amministratore deve essere autorizzato dal Giudice Tutelare.

Quali sono i doveri dell’amministratore di sostegno?

È l’art. 410 del codice civile a stabilire gli obblighi e i doveri dell’amministratore di sostegno nello svolgimento dei suoi compiti. Tra questi:
– Tenere sempre conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario.
Dovere di informazione, ovvero informare tempestivamente il beneficiario circa gli atti da compiere, o ancora di avvisare il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso.
I casi di contrasto, di scelte o atti dannosi, oppure di negligenza da parte dell’amministratore, comportano il ricorso al Giudice Tutelare, che può decidere di adottare con decreto motivato alcuni provvedimenti, tra cui la revoca e la sostituzione dell’amministratore con altro incaricato idoneo, oppure la nomina di un curatore speciale per il compimento dell’operazione che ha suscitato il conflitto. Ai sensi dell’art. 44 disp. att. Cod. Civ., il Giudice Tutelare potrebbe anche convocare l’amministratore chiedendo chiarimenti, senza prendere i provvedimenti prima elencati (a patto che l’amministratore si uniformi alle indicazioni del Giudice).
– Non è tenuto a continuare nello svolgimento dei suoi compiti oltre dieci anni, a meno che tale incarico sia rivestito dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dagli ascendenti o dai discendenti.
Rendicontazione periodica: l’amministratore deve rendere conto dello svolgimento della propria attività di sostegno, aggiornando il Giudice sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario.
Giuramento: L’amministratore di sostegno deve, dopo la nomina e quando assume l’incarico, prestare giuramento di fedeltà e diligenza nello svolgimento dell’incarico.

Chi può diventare amministratore di sostegno?

La scelta della persona che rivestirà il ruolo di amministratore di sostegno viene effettuata dal Giudice Tutelare con riguardo agli interessi del beneficiario.

Nella scelta vanno preferiti, ove possibile, il coniuge non separato o il convivente, l’unito civilmente, il padre o la madre, il figlio, i fratelli o le sorelle, e più in generale i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo. Nella decisione, il Giudice tiene conto della volontà manifestata dal beneficiario, ma non ne è vincolato. Può dunque discostarsene, motivando la decisione, qualora ritenga che la designazione effettuata dal beneficiario possa non essere conforme al suo interesse. La scelta dell’amministratore di sostegno può anche ricadere su persone estranee alla cerchia familiare, scelte di norma da un elenco di professionisti accreditati presso il Tribunale.

La nomina di una persona esterna alla famiglia del beneficiario avviene quando non vi siano familiari disponibili, oppure quando vi sia una situazione di conflittualità tra i parenti. Non possono invece ricoprire le funzioni di amministratore di sostegno gli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura il soggetto beneficiario.

La nomina dell’amministratore di sostegno può essere richiesta direttamente dal beneficiario, anche qualora sia minore, interdetto o inabilitato; dal coniuge o convivente, dai parenti entro il 4° grado oppure gli affini entro il 2° grado. Anche il Pubblico Ministero, il tutore o il curatore possono effettuare tale richiesta.

Come si presenta il ricorso per la nomina di un amministratore di sostegno?

La nomina dell’amministratore di sostegno è un procedimento non contenzioso: per questo è assai veloce e informale. La domanda va presentata mediante ricorso al Giudice Tutelare del luogo in cui il soggetto interessato vive stabilmente, indicando le ragioni a fondamento della domanda di nomina dell’amministratore di sostegno.

L’istruttoria è semplificata: il Giudice deve raccogliere le informazioni utili per la valutazione della sussistenza dei presupposti per la nomina dell’amministratore di sostegno. In alcuni casi, può essere sufficiente l’esame della documentazione medica che attesta la condizione di incapacità – fragilità della persona beneficiaria, in altri vengono disposti accertamenti medico legali per accertare l’effettiva situazione psico-fisica del beneficiario. Gli accertamenti istruttori possono essere disposti dal giudice anche d’ufficio.
Un passaggio fondamentale ed imprescindibile è l’audizione del beneficiario.
Nella prassi, l’audizione dei parenti è limitata ai casi in cui i parenti abbiano informazioni utili da riferire al giudice.

Il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno contiene una puntuale indicazione dei poteri attribuiti all’amministratore di sostegno, e più esattamente specifica:
– le generalità del beneficiario e dell’amministratore di sostegno;
– la durata dell’incarico, che può essere anche a tempo indeterminato;
– l’oggetto dell’incarico e degli atti che l’amministratore di sostegno può compiere in rappresentanza del beneficiario (in nome e per conto dello stesso);
– gli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno;
i limiti delle spese che l’amministratore di sostegno può sostenere con le somme del beneficiario;
– la periodicità della rendicontazione con cui l’amministratore di sostegno deve riferire al giudice l’attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario.

È bene ricordare che nel procedimento di nomina interviene sempre il Pubblico Ministero per rendere un parere sul caso, parere che non è vincolante per il Giudice.

Inoltre, è sempre possibile chiedere la cessazione o la sostituzione dell’amministratore di sostegno. Questo avviene sia nel caso in cui ci siano presupposti per la cessazione dell’incarico,sia quando l’amministratore di sostegno si sia dimostrato inidoneo, rendendo necessaria la sua sostituzione.
La richiesta deve essere presentata con apposita istanza al giudice da parte del beneficiario, dell’amministratore di sostegno, del Pubblico Ministero o dagli altri soggetti indicati (art. 406 c.c.). Anche in questo caso, il Giudice Tutelare decide con decreto motivato.

Adozione Nazionale: Fasi e Requisiti di idoneità

In Italia, l’adozione di minorenni è un istituto previsto e regolato dalla legge n.183 del 1984. La legge stabilisce con precisione tutto l’iter da seguire per poter adottare un bambino in Italia. Tra gli elementi cardine, troviamo in particolare la situazione dello stato di abbandono del minore e la successiva dichiarazione di adottabilità, nonché i requisiti che i futuri genitori devono possedere per poter avviare la procedura.

Lo stato di abbandono del minore e la dichiarazione di adottabilità.

La legge consente a un bambino in stato di abbandono di entrare a far parte di un’altra famiglia, acquisendo a tutti gli effetti lo status di figlio dei genitori adottanti. Il primo presupposto per un’adozione è dunque la dichiarazione dello stato di abbandono del minore, emessa dal Tribunale dei Minorenni dopo un’accurata verifica dell’effettiva situazione di mancata assistenza morale e materiale da parte dei genitori biologici o dei parenti tenuti a provvedere al minore (escluso il caso in cui questa mancanza sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio).

Va comunque ricordato che l’art. 1 della legge 183/1984 sancisce solennemente che “il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia“, riconoscendo dunque un ruolo prioritario alla famiglia d’origine del minore. Ugualmente, la giurisprudenza stabilisce che lo stato di abbandono costituisce la soluzione estrema, da applicarsi nei casi in cui siano risultati impraticabili o infruttuosi gli interventi di sostegno tesi a rimuovere le situazioni di difficoltà o disagio in cui si trova la famiglia d’origine.

La procedura per la dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore si svolge davanti al Tribunale per i Minorenni. Parti necessarie del procedimento sono i genitori o, qualora il minore sia orfano, i parenti entro il quarto grado. Sia i genitori (o parenti) che il minore hanno diritto ad essere difesi nel procedimento da un avvocato di loro fiducia.

L’adozione nazionale: i requisiti per l’idoneità

Si parla di adozione nazionale quando una coppia di genitori intende adottare un minore in ambito nazionale. La legge 183/1984 stabilisce, all’art. 6, i requisiti che le coppie che intendono adottare devono possedere:

1) I futuri genitori devono essere coniugati e conviventi da almeno tre anni, senza che sia intervenuta separazione, anche solo di fatto. Nel computo viene considerata anche la convivenza precedente al matrimonio.

2) L’età degli adottanti deve superare di almeno 18 anni l’età dell’adottando, ma non deve superarla di 45 anni. I limiti d’età possono essere comunque derogati dal Tribunale dei minori in questi casi specifici:
– Quando si accerta che dalla mancata adozione deriverebbe un danno grave e irreparabile per il minore stesso, che rischierebbe di non poter essere adottato per violazione dei limiti stabiliti.
– Quando il limite di età dei 45 anni è superato solo da uno dei due coniugi per un massimo di dieci anni, oppure qualora i coniugi siano genitori di figli, anche adottivi, dei quali almeno uno sia minore d’età, oppure qualora l’adozione riguardi un fratello o una sorella del minore già adottato dalla stessa coppia.

3) La coppia dev’essere idonea ad educare, istruire e mantenere i minori che intende adottare. La valutazione dell’idoneità viene effettuata dai Servizi sociali, su incarico del Tribunale per i minorenni.

Tutte le fasi per adottare un minore in Italia

1) Innanzitutto, per accedere all’adozione nazionale è necessario presentare domanda al Tribunale per i minorenni del distretto di residenza. Il giudice minorile esamina dunque la domanda e, dopo averla dichiarata idonea, la trasmette ai Servizi sociali, che si occuperanno di organizzare incontri conoscitivi con la coppia. Dopo aver raccolto le informazioni necessarie (tra cui valutazioni psicologiche, indagini mediche e accertamenti giudiziali), gli assistenti sociali elaborano una relazione che viene trasmessa al Tribunale per i minorenni.

2) A questo punto il Tribunale, ricevuta la relazione e verificata la sussistenza dei requisiti, emette entro 2 mesi il decreto di idoneità all’adozione nazionale, grazie a cui la coppia potrà accedere all’adozione. Il decreto ha validità tre anni, trascorsi i quali è necessario presentare una nuova domanda. Nel procedimento è obbligatoria l’audizione degli interessati.

Nonostante la presenza dei requisiti oggettivi (matrimonio, convivenza ultratriennale ed età), può accadere che la valutazione dell’idoneità all’adozione da parte degli assistenti sociali o del Tribunale sia negativa, e dunque il procedimento può concludersi con un decreto di inidoneità all’adozione. Contro questo provvedimento è possibile presentare reclamo, chiedendo alla Corte d’Appello territorialmente competente di riesaminare il caso.

3) L’affidamento preadottivo costituisce una fase della procedura di adozione, e va tenuto distinto dall’affidamento temporaneo, il quale ha finalità e presupposti del tutto diversi.

L’affidamento temporaneo è, infatti, uno strumento di supporto ai minori in difficoltà, il cui scopo è fornire aiuto immediato ad un minore privo anche solo momentaneamente di un ambiente familiare adeguato. Si tratta, dunque, di una misura d’emergenza, che viene disposta quando la famiglia d’origine non è in grado temporaneamente di prendersene cura. Non presuppone, dunque, lo stato di abbandono del minore, che abbiamo visto essere il requisito fondamentale per l’adottabilità. Allo stesso modo, non richiede che gli affidatari presentino i requisiti richiesti per l’adozione. (Clicca qui per approfondire il tema dell’affidamento temporaneo).

L’affidamento preadottivo, invece, è finalizzato all’adozione vera e propria. L’affidamento preadottivo deve e avere una durata di almeno 12 mesi, al termine dei quali verrà stilata una relazione dei servizi sociali al giudice minorile competente ai fini della decisione definitiva sull’adozione.

4) A conclusione del periodo di affidamento preadottivo, il Tribunale per i minorenni emette la sentenza di adozione. La sentenza viene pronunciata dopo aver sentito i soggetti interessati: coniugi adottandi, il minore se ha più di dodici anni, il tutore e gli operatori sociali. Vengono sentiti anche i figli della coppia adottante, se hanno compiuto i dodici anni. Nel procedimento interviene il Pubblico Ministero, per rendere un parere sul caso, non vincolante per la decisione.

Perché possa disporsi l’adozione di un minore che abbia compiuto i 14 anni è necessario il consenso del minore stesso. Se il Tribunale decide di non dare luogo all’adozione, emette contestualmente misure a protezione del minore, revocando il provvedimento di affidamento preadottivo e collocando il minore in un’altra famiglia o in una comunità.

Contro la sentenza è possibile fare appello, nel termine di 30 giorni dalla notifica. La decisione della Corte d’Appello può, infine, essere impugnata in Cassazione, ma solo per motivi afferenti la violazione o falsa applicazione delle norme di legge.

Con la pronuncia della sentenza di adozione si costituisce lo status di figlio della coppia adottante da parte del minore e si interrompono definitivamente i rapporti di parentela con la famiglia d’origine. L’adottato acquista i diritti di figlio nei confronti degli adottanti, come se fosse un loro figlio biologico (per questa ragione si parla di “adozione piena“, per distinguerla dall’adozione in casi speciali di cui all’art. 44 della legge sulle adozioni, in cui non vi è una piena costituzione dello status di figlio). La sentenza definitiva di adozione è comunicata all’ufficiale dello stato civile competente, che la annota a margine dell’atto di nascita dell’adottato.

La procedura sopra descritta riguarda l’adozione di bambini italiani. Per adottare un bambino straniero, occorre seguire la procedura per l’adozione internazionale, disciplinata dalla Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993 ratificata in Italia con la legge n. 476 del 31.12.1998 che ha un diverso iter.