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Assegno di divorzio: il tenore di vita non conta più

Nuovi parametri di riferimento per il riconoscimento dell’assegno di divorzio: per stabilire se il coniuge divorziato ha diritto all’assegno post-coniugale non va valutato il tenore di vita del matrimonio, ma soltanto l’autosufficienza economica del coniuge richiedente.

Questo è quanto stabilito dalla recentissima sentenza della Corte di Cassazione n. 11054 depositata il 10 maggio scorso, oggetto, per la sua portata innovativa (e per la notorietà della parti in causa), di una notevole attenzione mediatica.

Con questa sentenza, infatti, i giudici della Cassazione hanno rivoluzionato l’orientamento giurisprudenziale in materia, giungendo a conclusioni nuove, destinate ad incidere sull’assetto economico di molti ex coniugi.

Dal tenore di vita della famiglia…

In precedenza, infatti, si era consolidata l’interpretazione per cui l’assegno di divorzio andava riconosciuto tenendo conto del tenore di vita tenuto dalla famiglia quando era unita. E dunque l’assegno divorzile poteva essere riconosciuto anche in favore dell’ex coniuge che avesse una condizione economica tale da poter essere autosufficiente.
Più esattamente, l’assegno veniva riconosciuto anche se il coniuge richiedente aveva redditi e proprietà, soltanto per il fatto che l’altro coniuge versava in una condizione economica più florida del richiedente.
Questa interpretazione era tesa a tutelare il coniuge più debole, generalmente la moglie, che aveva sacrificato la propria carriera lavorativa e rinunciato ad ambizioni professionali per occuparsi della famiglia, alla cura dei figli e della casa, così permettendo al marito di dedicarsi alla carriera e di garantire alla famiglia un determinato tenore di vita .
Cessato il matrimonio, al coniuge meno abbiente veniva riconosciuto l’assegno, in modo da garantirgli di conservare quel tenore di vita conseguito dall’altro coniuge anche grazie al suo sacrificio.

… all’autoresponsabilità economica

Con la recente sentenza, la Cassazione cambia completamente prospettiva.
Il tenore di vita non va più tenuto in considerazione, ma quello che conta è l’autosufficienza economica.
Con una nuova interpretazione dell’art. 5 della legge 898/1970 sul divorzio, la Cassazione enfatizza la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio, evidenziando che l’assegno va disposto nei casi in cui il coniuge non abbia risorse economiche tali da renderlo indipendente.

Non conta più il tenore di vita del matrimonio: con il divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano personale e patrimoniale, fare riferimento al tenore di vita del matrimonio rappresenta una forzatura, determinando il perdurare tra le parti di un vincolo che di fatto è sciolto.

Il criterio cui i giudici chiamati a decidere dell’assegno di divorzio devono attenersi è l’autoresponsabilità economica, secondo cui ciascuno, indipendentemente da chi abbia sposato e dal tenore di vita della famiglia, deve provvedere a sè stesso autonomamente.

Nessun assegno dunque verrà riconosciuto, dunque, a chi sarà in grado di cavarsela da solo, anche se il tenore di vita condotto con i propri mezzi sarà inferiore a quello tenuto durante il matrimonio.

Autosufficienza economica: quali sono gli elementi da valutare?

Per decidere se vi sono i presupposti dell’assegno il giudice dovrà valutare soltanto vale a l’indipendenza o l’autosufficienza economica del coniuge che richiede l’assegno divorzile.

In concreto, gli aspetti che il giudice dovrà valutare sono i seguenti:

– l’esistenza di redditi di qualsiasi specie
– la capacità e le possibilità effettive di lavoro
– la proprietà di beni immobili e mobili
– la disponibilità di una casa di abitazione.

Naturalmente, spetterà alla parte che chiede l’assegno dimostrare le proprie condizioni economiche, con documenti, testimonianze ed ogni altra prova utile a provare che la domanda di assegno divorzile è fondata.

Il principio di solidarietà economica per quantificare l’assegno

Una volta accertato che il coniuge non è autosufficiente e dunque vi sono i presupposti per il riconoscimento dell’assegno, la misura andrà determinata dal giudice tenendo conto del principio di solidarietà economica, ovvero del vincolo solidaristico che permane tra gli ex coniugi.
Andranno valutati il contributo dato da ciascuno alla conduzione della famiglia e alla formazione del reddito e del patrimonio dell’altro e di quello comune, la durata del matrimonio e le ragioni della decisione, secondo quanto stabilito dall’art. 5 della legge sul divorzio.
Fonte: Sentenza Cassazione civile n. 11504 del 10.5.2017

Quando l’ex non paga l’assegno: cosa fare?

In caso di mancato pagamento del contributo mensile per il mantenimento del coniuge o dei figli, così come in caso di mancato pagamento dell’assegno di divorzio, diversi sono gli strumenti attivabili.

 

Come si recuperano gli arretrati?

Per recuperare delle mensilità non versate è possibile agire mediante l’esecuzione forzata, con la notifica dell’atto di precetto ed il successivo pignoramento dello stipendio o del conto corrente bancario o di altri beni (anche immobili) di proprietà di colui che è tenuto al versamento.

L’azione esecutiva può essere avviata quando la misura dell’assegno è stabilita in un provvedimento del giudice (ordinanza presidenziale nella separazione o nel divorzio, sentenza di separazione o divorzio, decreto relativo al mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, decreto di modifica delle condizioni di separazione o divorzio) o in un accordo di separazione, divorzio o modifica delle condizioni di separazione e divorzio esito di negoziazione assistita.

In mancanza di un provvedimento del giudice o dell’accordo negoziato (che costituiscono “titolo esecutivo”) non è consentito intraprendere l’esecuzione forzata.

 

E gli assegni futuri?

La legge consente, quando vi sia una condizione di inadempimento protratta nel tempo, di ottenere il versamento diretto del contributo mensile dal datore di lavoro dell’ex.

La procedura è regolata dall’art. 156 c.c. attivabile sia per l’assegno stabilito nella separazione, nel divorzio o nelle modifiche della separazione e del divorzio, sia per l’assegno relativo al mantenimento dei figli nati da persone non sposate previsto da un provvedimento giudiziale.

La domanda di versamento diretto va fatta al giudice, il quale, sentite le parti interessate, disporrà con provvedimento che il mensile venga erogato direttamente dal datore di lavoro (o dall’INPS o da altri enti previdenziali nel caso in cui l’ex sia pensionato).

 

Nel divorzio è più facile ottenere il versamento diretto

Nel caso in cui l’assegno sia stabilito in sede di divorzio si può ottenere il pagamento diretto dal datore di lavoro (o dagli enti pensionistici) in modo ancora più semplice e veloce, poichè non è necessario il passaggio in tribunale.

L’art. 8 della legge sul divorzio (legge n. 898/70) stabilisce, infatti, che per ottenere il versamento dell’assegno direttamente dal datore di lavoro e, più in generale, da tutti coloro che sono “tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato” (in senso lato, anche i conduttori di immobili di proprietà dell’ex) sia sufficiente la notifica al terzo tenuto alla prestazione periodica del provvedimento giudiziale, unitamente all’invito a corrispondere le somme dovute.

La notifica al terzo dev’essere preceduta da una comunicazione di messa in mora inviata all’ex coniuge – debitore, mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Decorsi trenta giorni senza che il debitore abbia provveduto al pagamento, si può procedere con la notifica diretta al terzo.

A maggior tutela della parte economicamente più debole, la legge sul divorzio prevede che il coniuge che deve percepire l’assegno abbia “azione diretta ed esecutiva” nei confronti del datore di lavoro dell’ex, o dell’ente pensionistico: il che significa che se il terzo non adempie, il coniuge potrà procedere con l’esecuzione forzata direttamente nei suoi confronti.

 

Si può prevenire il mancato versamento degli alimenti?

In via preventiva, di fronte al rischio che il coniuge non versi gli alimenti, si può chiedere al tribunale il sequestro dei beni ai sensi dell’art. 156 c.c. e dell’art. 8 della legge sul divorzio. Si tratta di un sequestro conservativo, finalizzato cioè ad evitare che l’ex coniuge o l’ex compagni si “liberino” dei beni di loro proprietà, cedendoli a terzi.

E’ inoltre possibile iscrivere ipoteca sugli immobili di proprietà dell’ex. Per procedere in questo senso è necessario avere già a disposizione un provvedimento che stabilisca l’ammontare dell’assegno (ordinanza presidenziale nella separazione o nel divorzio, sentenza di separazione o divorzio, decreto relativo al mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, decreto di modifica delle condizioni di separazione o divorzio) o un accordo privato di separazione, divorzio o modifica delle condizioni di separazione e divorzio ottenuto mediante negoziazione assistita.

 

Di fronte al mancato pagamento dell’assegno si può fare denuncia penale?

Certamente è possibile agire anche in sede penale. Contribuire al mantenimento della moglie, anche divorziata, e dei figli è un obbligo che, se violato, espone al rischio di sanzioni penali ai sensi degli art. 570 (violazione degli obblighi di assistenza familiare) e 388 (violazione dolosa di provvedimento dell’autorità giudiziaria) del codice penale.