Domanda "Dopo il divorzio ho iniziato una relazione. Posso presentare il nuovo partner a mio figlio?"

Relazione dopo divorzio. Posso presentare il nuovo partner a mio figlio?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

È regola di buon senso che la presenza di una nuova figura nella vita dei figli debba essere inserita con modalità non traumatiche e che rispettino la sensibilità dei figli, evitando la sovrapposizione dei ruoli.

Le clausole che alle volte vengono inserite negli accordi di separazione o di divorzio in cui si prevede l’obbligo per i coniugi di introdurre nuovi compagni in modo graduale nella vita dei figli, così come quelle che vietano i contatti per un certo periodo di tempo, non costituiscono un vero e proprio obbligo giuridico. Si tratta più che altro di un impegno morale che, se violato, non comporta l’applicazione di una sanzione, salvo che non abbia comportato gravi conseguenze pregiudizievoli sui minori.

Domanda "Il mio ex non paga il mantenimento: posso denunciarlo?"

Il mio ex non paga l’assegno di mantenimento: posso denunciarlo?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

Contribuire al mantenimento della moglie, anche divorziata, e dei figli è un obbligo che, se violato, espone al rischio di sanzioni penali ai sensi degli articoli 570 (violazione degli obblighi di assistenza familiare), 570 bis c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio) e 388 (violazione dolosa di provvedimento dell’autorità giudiziaria) del codice penale. È quindi possibile effettuare una denuncia.

Gli artt. 570 e 388 del codice penale si applicano anche in caso di mancato mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio.

Mio figlio maggiorenne lavora: devo versare l’assegno?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

Secondo la legge, i genitori sono obbligati a versare il mantenimento fino a che l’attività lavorativa del figlio maggiorenne consente a quest’ultimo di raggiungere l’indipendenza economica. In base a questo principio, la giurisprudenza ha ritenuto che nei casi in cui il figlio stia completando la sua formazione, oppure svolgendo un lavoro precario e limitato nel tempo, il genitore è tenuto ancora a versare l’assegno. Il genitore può essere, però, esonerato dal mantenimento del figlio disoccupato quando quest’ultimo sia inerte nella ricerca di un lavoro o prosegua gli studi senza rendimento.

Quali sono le conseguenze se abbandono il tetto coniugale?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

L’abbandono del tetto coniugale non costituisce reato nel nostro ordinamento; tuttavia, esso integra violazione degli obblighi coniugali, vale a dire del dovere di coabitazione e dell’obbligo di fornire assistenza al coniuge. Per questo, chi ha subito l’abbandono può richiedere l’addebito della separazione al coniuge che si è allontanato da casa. L’addebito consiste, in sostanza, nel riconoscere che la crisi coniugale è responsabilità di uno solo dei coniugi, che, con il proprio comportamento, ha provocato la separazione. Si può chiedere l’addebito soltanto nell’ambito di una causa di separazione giudiziale (non nella separazione consensuale).

Che cosa prevede il DDL Pillon?

Scopriamo le possibili novità introdotte dal DDL Pillon

Il DDL #Pillon vorrebbe introdurre la “bigenitorialità perfetta”: questo significa che, in caso di separazione di una coppia, il mantenimento dei figli, l’affidamento, i costi e il tempo da trascorrere insieme verrebbero essere divisi precisamente a metà tra padre e madre.

Bisogna specificare, però, che si tratta soltanto di un disegno di legge, non ancora approvato in Parlamento e Senato.

Contributo al mantenimento dei figli: le spese straordinarie

L’assegno mensile, di cui abbiamo scritto nel precedente articolo sul contributo di mantenimento, copre il mantenimento ordinario dei figli, vale a dire le spese che sono necessarie al figlio per il sostentamento e per i bisogni ordinari (alimentazione, abbigliamento, spese di vitto ed alloggio, ecc.).

In aggiunta all’assegno mensile si pongono le cosiddette “spese straordinarie“, ovvero quelle spese che sono legate a particolari esigenze di cura ed educazione dei figli e che hanno natura straordinaria, nel senso che non sono previamente prevedibili nè quantificabili e riguardano profili primari della crescita, della salute e della formazione del figlio.

Queste spese straordinarie, per la loro natura e peculiarità, non possono essere incluse nell’assegno mensile, ma vanno conteggiate e rimborsate separatamente.

Al riguardo, la legge non specifica quali siano le voci di spesa straordinarie, ma la giurisprudenza della Cassazione ha più volte avuto occasione di precisare che “devono intendersi spese straordinarie quelle che, per la loro rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità, esulano dall’ordinario regime di vita dei figli”, chiarendo anche che non possono essere inserite nell’assegno mensile, poichè “la loro inclusione in via forfettaria nell’ammontare dell’assegno, posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dalla legge e con quello dell’adeguatezza del mantenimento, nonchè recare pregiudizio alla prole, che potrebbe essere privata di cure necessarie o di altri indispensabili apporti; pertanto, pur non trovando la distribuzione delle spese straordinarie una disciplina specifica nelle norme inerenti alla fissazione dell’assegno periodico, deve ritenersi che la soluzione di stabilire in via forfettaria ed aprioristica ciò che è imponderabile e imprevedibile, oltre ad apparire in contrasto con il principio logico secondo cui soltanto ciò che è determinabile può essere preventivamente quantificato, introduce, nell’individuazione del contributo in favore della prole, una sorta di alea incompatibile con i principi che regolano la materia” (cfr. Cass. civ. n. 9372/2012 e, più di recente, Cass. civ. n. 11894/2015).

Quali sono le “spese straordinarie”?

Manca una classificazione generale delle spese straordinarie: spesso nei provvedimenti giudiziari viene inserita una previsione assai generica che prevede il rimborso delle “spese straordinarie mediche non mutuabili, scolastiche, ludiche, ricreative e sportive“.

L’esame delle pronunce giurisprudenziale conferma che i tribunali non seguono criteri omogenei nella individuazione delle voci di spesa da considerarsi come straordinarie: ad esempio, le spese per cancelleria scolastica, pur essendo “spese scolastiche” sono da alcuni ritenute spese che rientrano nell’assegno mensile, in quanto spese routinarie e prevedibili, da altri spese straordinarie, ulteriori rispetto all’assegno mensile.
Interpretazioni differenti si hanno anche riguardo alle mensa scolastica, che alle volte viene considerata sostitutiva del pasto a casa e dunque inclusa nell’assegno, altre volte “spesa scolastica” e come tale non compresa nell’assegno mensile e da rimborsarsi separatamente.

Anche la nozione di “spese mediche” non è chiara: alcune spese mediche sono in genere comprese nelle spese ordinarie e dunque coperte dall’assegno mensile (ad esempio, l’acquisto di farmaci da banco) altre invece rientrano nelle spese straordinarie (ad esempio, le visite specialistiche, i trattamenti ortodontici, ecc. ).
Che cosa comprendono, poi, le spese ricreative? Sicuramente i corsi di musica o la vacanza all’estero che i figli fanno da soli. Ma comprendono anche la festa di compleanno, il regalo di compleanno per gli amichetti, le ricariche telefoniche?

I dubbi sono molti. E di conseguenza sono molte le occasioni di conflitto tra i genitori separati in relazione al concorso alle spese straordinarie.

Allo scopo di prevenire il contenzioso, la prassi giurisprudenziale ha elaborato una serie di criteri di riferimento, trasfusi nei Protocolli applicativi in uso nei diversi Tribunali italiani.
Lo scopo dei Protocolli è sostanzialmente quello di fornire dei criteri oggettivi, al fine di rendere più agevole l’applicazione delle regole fissate nei provvedimenti di separazione, divorzio o di regolamentazione della responsabilità genitoriale sui figli nati fuori dal matrimonio, scongiurando, per quanto possibile, l’insorgere di ulteriori contrasti tra i genitori separati.

Le spese straordinarie devono essere concordate?

Secondo l’orientamento interpretativo tradizionale, le spese straordinarie debbono essere tutte previamente concordate, in quanto si tratta di spese che attengono decisioni relative alla crescita, alla salute, all’educazione ed alla formazione scolastica dei figli, scelte di vita di primaria importanza, sulle quali entrambi i genitori hanno il diritto di esprimere la loro opinione.

Fanno eccezione soltanto le spese mediche urgenti ed indifferibili, le quali, per loro stessa natura, possono prescindere dall’accordo dei genitori, riguardando una situazione di emergenza nella quale prevale in assoluto l’interesse alla salute del figlio.

Non mancano, tuttavia, sentenze che chiariscono che anche le spese scolastiche e le spese mediche non richiedono il previo accordo di entrambi i genitori, atteso che si tratta di spese imprescindibili, come tali ritenute di per sé necessarie alla sana crescita psico-fisica dei figli e rispondenti al loro prioritario interesse.

Le spese straordinarie secondo il Protocollo del Tribunale di Bologna

Da qualche mese il Tribunale di Bologna si è dotato di un nuovo Protocollo sulle spese straordinarie, nel quale sono state specificamente indicate le voci di spesa che devono essere considerate come “spese straordinarie” e, soprattutto, chiarito quali spese debbano essere concordate preventivamente e quali non richiedano invece il preventivo accordo.

Il Protocollo stabilisce innanzitutto quali siano le spese che sono ricomprese nell’assegno mensile, precisando che si tratta delle spese necessarie alla soddisfazione delle esigenze primarie di vita dei figli, ovvero vitto, alloggio, abbigliamento ordinario, mensa scolastica e spese per l’ordinaria cura della persona.
Le altre spese, diverse da quelle specificate sopra, sono considerate tutte spese straordinarie.
Il Protocollo del Tribunale di Bologna specifica che alcune spese straordinarie non devono essere concordate preventivamente, in quanto sono ritenute rispondenti in via generale all’interesse dei figli.
Più esattamente, secondo il Protocollo, non devono essere concordate le seguenti spese:
a) le spese corrispondenti a scelte già condivise dei genitori e dotate della caratteristica della continuità.
A titolo esemplificativo: spese mediche precedute dalla scelta concordata dello specialista, comprese le spese per i trattamenti e i farmaci prescritti; spese scolastiche costituenti conseguenza delle scelte concordate dai genitori in ordine alla frequenza dell’istituto scolastico; spese sportive, precedute dalla scelta concordata dello sport (incluse le spese per l’acquisto delle relative attrezzature e del corredo sportivo); spese ludico-ricreativo-culturali, precedute dalla scelta concordata dell’attività (incluse le spese per l’acquisto delle relative attrezzature). In relazione a queste spese, le quali, com’è evidente, costituiscono la prosecuzione di decisioni già condivise dai genitori prima della separazione, è possibile la revoca da parte di uno dei genitori del consenso già prestato qualora intervenga, a causa o dopo lo scioglimento del rapporto, un cambiamento della condizione economica in senso peggiorativo, che renda la spesa eccessivamente gravosa e non più sostenibile. Il cambiamento dovrà essere dimostrato.
b) campi scuola estivi, baby sitter, pre-scuola e post-scuola, se imposti dalle esigenze lavorative del genitore collocatario e se il genitore non collocatario, anche mediante la rete famigliare di riferimento (nonni, ecc.), non offra tempestive alternative;
c) spese necessarie per il conseguimento della patente di guida;
d) abbonamento ai mezzi di trasporto pubblici;
e) spese scolastiche di iscrizione e dotazione scolastica iniziale, come da indicazione dell’istituto scolastico frequentato; uscite scolastiche senza pernottamento;
f) visite specialistiche prescritte dal medico di base; ticket sanitari e apparecchi dentistici o oculistici, comprese le lenti a contatto, se prescritti; spese mediche aventi carattere d’urgenza.

Tutte le altre spese straordinarie, invece, devono essere concordate tra i genitori.
Al riguardo, il Protocollo del Tribunale di Bologna specifica le modalità di comunicazione della spesa e del consenso, prevedendo che il genitore che propone la spesa debba informare l’altro per iscritto (con raccomandata, fax o e-mail), comunicando tipologia ed entità della spesa. L’altro genitore dovrà comunicare, sempre per iscritto, il proprio assenso o il diniego, motivandone le ragioni. Il mancato riscontro alla comunicazione del genitore richiedente entro trenta giorni, fa scattare la presunzione del consenso. Questa regola ha lo scopo di evitare che uno dei genitori possa sottrarsi alla spesa, semplicemente ignorando la comunicazione inviata dall’altro.

Qual è la percentuale del contributo di ciascuno dei genitori nelle spese straordinarie?

La contribuzione alle spese straordinarie è, dunque, separata rispetto al versamento dell’assegno mensile. Solitamente, viene previsto un riparto delle spese straordinarie al 50% tra i genitori, ma non mancano casi nei quali il contributo alle spese straordinarie è attribuito in misura differenziata a ciascuno dei genitori (a titolo esemplificativo, 70% e 30%) ovvero integralmente a carico di uno solo dei genitori, qualora vi sia una notevole differenza tra le condizioni economiche dei genitori, e ciò in conformità al principio di proporzionalità che sorregge il concorso al mantenimento dei figli.

Quali sono le modalità di rimborso?

Quasi mai nei provvedimenti della separazione, del divorzio o della regolamentazione della responsabilità genitoriale sui figli nati fuori dal matrimonio sono fissate le modalità di rimborso delle spese straordinarie. Ciò è spesso motivo di conflitto tra i genitori.

Ovviamente il rimborso potrà avvenire soltanto dietro esibizione della documentazione che comprova che la spesa sia stata effettivamente sostenuta e la sua concreta entità.

Nel nuovo Protocollo del Tribunale di Bologna sono state indicate in modo dettagliato le modalità di rimborso: il genitore che ha anticipato la spesa deve chiedere il rimborso in prossimità della spesa, allegando la documentazione dell’esborso. E’ stabilito che il rimborso avvenga tempestivamente e non oltre quindici giorni dalla richiesta, salvi diversi accordi tra i genitori.

La documentazione fiscale dovrà essere intestata ai figli, ai fini della corretta deducibilità, al 50% ciascuno in capo ai genitori.

Inoltre, è previsto che gli eventuali rimborsi e/o sussidi disposti dalla Stato e/o da altro ente pubblico o privato per spese scolastiche e/o sanitarie relative alla prole vanno a beneficio di entrambi i genitori nella stessa quota proporzionale di riparto delle spese straordinarie.

Contributo al mantenimento dei figli: l’assegno mensile

Il dovere di mantenimento dei figli è sancito dall’art. 30 della Carta costituzionale (“è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio“) ed ulteriormente specificato dagli artt. 315 bis e 316 bis c.c., come modificati dalla legge 219/2012, con la quale sono state unificate le norme in materia di filiazione, sulla scorta del principio della identità dello stato giuridico dei figli, a prescindere dalla circostanza che siano nati da genitori uniti in matrimonio o meno.

La regola cardine è il principio di proporzionalità.

Più esattamente, il primo comma dell’art. 315 bis c.c. sancisce che “il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito ed assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni“.

L’art. 316 bis c.c., titolato “Concorso nel mantenimento“, stabilisce al primo comma che “i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo“, specificando, nei successivi commi, che, in caso di insufficienza delle risorse economiche dei genitori, gli ascendenti sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari per provvedere all’obbligazione di mantenimento.

L’obbligo di mantenimento è parte integrante della responsabilità genitoriale, ovvero dell’insieme di diritti e doveri che competono ai genitori e che sorgono per il solo fatto della procreazione, dall’aver messo al mondo il figlio. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha chiarito che si tratta di doveri e obblighi indisponibili, vale a dire che non possono essere derogati per volontà dei soggetti interessati, poiché sono finalizzati al pieno sviluppo della personalità del figlio (cfr. inter multis, Cass. civ. 26.5.2004, n. 10102).

L’interpretazione giurisprudenziale ha inoltre sottolineato che l’obbligo di mantenimento dei figli impone di provvedere non soltanto ai bisogni strettamente alimentari della prole, ma a tutte le necessità di cura ed educazione dei figli, e dunque alle esigenze abitative, scolastiche, sanitarie, sociali, ricreative, sportive ecc., ovvero a tutto ciò che serve al figlio per crescere.

Il criterio di riferimento principale per la ripartizione degli oneri di mantenimento dei figli in capo ai genitori è, dunque, il principio di proporzionalità: ciascuno dei genitori è tenuto a provvedere in proporzione alle rispettive sostanze e dunque ai redditi ed al patrimonio, nonchè alla capacità di lavoro, professionale o casalingo.

Tale principio, acclamato dall’art. 316 bis c.c. già citato, è ribadito dall’art. 337 ter c.c. che regola l’esercizio della responsabilità genitoriale a seguito della separazione dei genitori e dell’interruzione della convivenza di fatto.

I parametri di quantificazione dell’assegno mensile.

L’art. 337 ter c.c. da un lato disciplina l’affidamento dei figli, prevedendo come regola generale l’affidamento condiviso del figlio ad entrambi i genitori, dall’altro ribadisce che “ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito” ed elenca i parametri di riferimento nella quantificazione del contributo mensile per il mantenimento dei figli. Si tratta, più esattamente, dei seguenti parametri:

     1) le attuali esigenze del figlio;

     2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;

     3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;

     4) le risorse economiche di entrambi i genitori;

      5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

La norma in esame, inoltre, stabilisce l’automaticità dell’adeguamento ISTAT dell’assegno mensile, derogabile soltanto qualora vengano stabiliti altri parametri dalle parti o dal giudice.

L’assegnazione della casa coniugale e il suo peso economico.

Ulteriore elemento di rilievo economico, ai sensi dell’art. 337 sexies c.c., è costituito dall’assegnazione della casa dove la famiglia ha vissuto fino alla disgregazione del nucleo. Per legge, in caso di separazione dei genitori la casa familiare dev’essere assegnata al genitore convivente con i figli, e ciò risponde all’esigenza prioritaria di tutelare i figli e garantire loro la conservazione dell’ambiente domestico e di vita nel quale sono vissuti fino alla separazione dei genitori, evitando loro ulteriori traumatici cambiamenti.

La norma citata stabilisce che dell’assegnazione della casa familiare si debba tenere conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà.

In buona sostanza, l’assegnazione dell’ex casa familiare consente ad uno dei genitori di rimanere a viverci con i figli, disponendo dell’immobile e di tutti i mobili e gli arredi ivi presenti, anche se di proprietà esclusiva dell’altro genitore. Ciò ovviamente incide sull’assetto economico in quanto per il genitore assegnatario si realizza un risparmio di spesa (dato che rimane nel domicilio familiare a titolo gratuito), mentre l’altro genitore si troverà a dover sostenere spese abitative per la locazione o l’acquisto di un altro immobile in cui si trasferirà a vivere.

Per altro verso, qualora il genitore collocatario dei figli rinunci all’assegnazione dell’ex casa familiare si realizza un vantaggio economico per l’altro genitore, proprietario dell’immobile, il quale può continuare a fruirne senza dover sostenere ulteriori spese abitative, ed uno svantaggio per il primo genitore, che dovrà farsi carico delle spese necessarie per disporre di una propria sistemazione abitativa.

Non vi sono criteri di calcolo specifici per il mantenimento dei figli, ma parametri indicativi.

La legge, dunque, non fissa criteri di calcolo specifici ed automatici, ma indica dei parametri valutazione al quale i genitori e il giudice devono attenersi per ottenere la corretta quantificazione dell’assegno mensile. Ed il criterio di correttezza attiene all’interesse primario del figlio e al diritto del medesimo di crescere fruendo di risorse economiche adeguate, oltre che alle proprie esigenze, agli standard di vita della famiglia in cui è nato.

Sulla base dei parametri di legge alcuni Tribunali italiani hanno elaborato dei modelli di calcolo: il Tribunale di Firenze, insieme alla Facoltà di Economia, ha elaborato un Modello per calcolare l’assegno di mantenimento (MoCAM) ed il Tribunale di Monza, ha predisposto nel 2008 delle Tabelle (acquisite quale strumento di riferimento in numerosi tribunali) che riassumono le ipotesi più ricorrenti e le possibili soluzioni con riferimento all’assegno di mantenimento del coniuge e dei figli.

Tali tabelle, in particolare, portano all’individuazione di un criterio di liquidazione indicativo dell’assegno pari ad un terzo del reddito presunto del genitore tenuto al versamento dell’assegno, nell’ipotesi in cui non vi sia stata assegnazione della casa familiare in favore del genitore convivente. L’importo così ottenuto va, poi, modulato, tenendo conto della complessiva situazione patrimoniale delle parti; il reddito è, infatti, soltanto uno dei dati da considerare nella quantificazione dell’assegno mensile.

Il Tribunale di Bologna non ha elaborato sistemi di calcolo tabellari, rimettendo la valutazione alla discrezionalità dei singoli magistrati, ma in generale, dalle decisioni in materia di separazione, divorzio e regolamentazione della responsabilità genitoriale dei figli nati fuori dal matrimonio, si può ricavare ad una proporzione dell’ammontare dell’assegno rispetto ai redditi del genitore tenuto al versamento in linea con i parametri indicati dalle tabelle di Monza.

Fino a quando è dovuto l’assegno mensile di mantenimento?

L’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio tramite assegno mensile non cessa con il raggiungimento della maggiore età da parte del figlio, ma permane anche oltre, fino a che il figlio non abbia raggiunto l’autosufficienza economica.

Il concetto di autosufficienza è, peraltro, un concetto assai relativo che – secondo l’interpretazione della giurisprudenza – si verifica con la percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita e in grado di consentire al figlio un tenore di vita dignitoso, con prospettive concrete, anche in relazione alla propria specializzazione e formazione (da ultimo si veda Cass. civ. 20/12/2017, n. 30540: “Il contributo al mantenimento per il figlio maggiorenne  non cessa automaticamente ma continua fino a che il genitore contribuente non dimostri che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica o che la mancata autonomia dipenda dalla sua colpevole inerzia, intendendosi con ciò, sostanzialmente, l’ingiustificato rifiuto di occasioni lavorative ordinarie”).

 

L’assegno mensile può essere versato direttamente al figlio maggiorenne?

La nuova formulazione dell’art. 337 septies c.c. rimette al giudice la facoltà di prevedere la corresponsione diretta dell’assegno mensile al figlio maggiorenne. Ciò esclude che il genitore possa autonomamente iniziare a versare l’assegno in via diretta al figlio.

Dovrà, pertanto, esserci l’accordo anche dell’altro genitore, che autorizzi il versamento diretto dell’assegno a mani del figlio.

Nuovo partner dopo la separazione: come introdurlo ai figli

Una delle questioni più delicate che si pongono dopo la separazione è quella dell’introduzione nella vita dei figli del nuovo compagno o della nuova compagna.

Spesso, infatti, l’inserimento del nuovo partner nella vita dei figli è un passaggio difficile, vissuto con particolare tensione sia dal genitore che dai figli. E molte volte si verificano resistenze da parte dell’altro genitore che, realmente preoccupato per il benessere dei figlio o mosso da gelosia, pone “veti” alla frequentazione tra il figlio e il nuovo compagno dell’ex.

Sotto il profilo giuridico il principio cardine da tenere sempre in considerazione è il principio di bigenitorialità: i figli hanno diritto di mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori, e dunque hanno diritto di partecipare alla vita di entrambi i genitori nella sua completezza.

È dunque normale che, se non vi sono problematiche specifiche, il figlio venga a contatto ed abbia un rapporto di frequentazione con i nuovi compagni dei genitori. Ed è normale che il figlio condivida con il genitore momenti quali la nuova convivenza, il matrimonio ed altri eventi della vita del genitore.

Le clausole che alle volte vengono inserite negli accordi di separazione o di divorzio in cui si prevede l’obbligo per i coniugi di introdurre i nuovi compagni in modo graduale nella vita dei figli, così come quelle che vietano i contatti per un certo periodo di tempo, non costituiscono un vero e proprio obbligo giuridico, ma si sostanziano in un impegno morale che, se violato, non comporta l’applicazione di alcuna sanzione.

In mancanza di prescrizioni di legge, non resta che seguire regole di buon senso e fare appello alla sensibilità dei genitori, chiamati ad avere la massima attenzione nell’introdurre un nuovo compagno nella vita dei figli, per evitare agli stessi figli traumi e possibili sofferenze.

Una regola fondamentale è quella di introdurre il rapporto prima di introdurre la persona, vale a dire iniziare a comunicare ai figli la possibilità che il papà o la mamma siano coinvolti in un nuovo rapporto sentimentale, dando il tempo al bambino di elaborare questa eventualità.

Si dovrà,  inoltre, evitare la sovrapposizione dei ruoli: il bambino dovrà avere sempre chiaro che il nuovo fidanzato della mamma o la fidanzata del papà sono figure distinte rispetto ai genitori “veri” e che i genitori “veri” rimarranno sempre il suo punto di riferimento.

Come si calcola l’assegno di mantenimento dei figli?

Una delle questioni da affrontare nella separazione, anche dei conviventi di fatto, è il contributo al mantenimento dei figli.
L’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli è un obbligo di legge inderogabile ed irrinunciabile. Esso è parte integrante della responsabilità genitoriale, ovvero dell’insieme di diritti e doveri che sorgono in capo ai genitori per il solo fatto della procreazione.

Contribuire al mantenimento dei figli significa provvedere non soltanto ai bisogni strettamente alimentari della prole, ma a tutte le necessità di cura ed educazione dei figli, e dunque alle esigenze abitative, scolastiche, sanitarie, sociali, ricreative, sportive, ecc. ovvero a tutto ciò che serve al figlio per crescere conservando, anche nella separazione dei genitori, lo stesso tenore di vita tenuto quando la famiglia era unita.

L’obbligo di mantenimento perdura dalla nascita del figlio fino alla sua piena indipendenza economica, cioè fino a quando il figlio non dispone di redditi propri ed è autonomo economicamente. L’obbligo dunque non viene meno automaticamente quando il figlio diventa maggiorenne, ma perdura anche oltre la maggiore età, fino a che il figlio non è in grado di mantenersi da solo.

Ma come si misura l’obbligo di mantenimento?

Il principio di proporzionalità

Il criterio di riferimento principale per la ripartizione tra i genitori dell’obbligo di mantenimento dei figli è il principio di proporzionalità: ciascuno dei genitori è tenuto a provvedere in proporzione alle sue sostanze, comprensive dei redditi (stipendio), del patrimonio (beni posseduti) ed anche della capacità di lavoro, professionale o casalingo.
Tale principio, affermato dall’art. 316 bis c.c., è ribadito dall’art. 337 ter c.c. che regola l’esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione dei genitori, coniugati e non.

Gli altri criteri per la quantificazione del mantenimento

L’art. 337 ter c.c.  stabilisce che “ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito” .
La norma elenca i parametri di riferimento che il giudice e le parti devono usare nella quantificazione dell’assegno mensile per il mantenimento dei figli, parametri che sono volti – precisa la norma – a realizzare il principio di proporzionalità, e più esattamente:

1) le esigenze attuali del figlio;
2) il tenore di vita goduto dal figlio quando la famiglia era unita;
3) i tempi che il figlio trascorre con ciascun genitore;
4) le risorse economiche dei genitori;
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura che ciascun genitore svolge.

L’assegnazione della casa familiare

Ulteriore elemento di valutazione economica, ai sensi dell’art. 337 sexies c.c., è costituito dall’assegnazione della casa dove la famiglia ha vissuto fino alla disgregazione del nucleo.

Per legge, in caso di separazione dei genitori la casa familiare viene assegnata al genitore convivente con i figli, e ciò risponde all’esigenza prioritaria di tutelare i figli e garantire loro di conservare l’ambiente domestico e di vita, evitando loro ulteriori traumatici cambiamenti.

Il genitore cui la casa è assegnata ha il diritto di rimanere a viverci con i figli, disponendo dell’abitazione e di tutti i mobili e gli arredi presenti in casa, anche se l’immobile è cointestato all’altro o di proprietà esclusiva dell’altro.

L’assegnazione, ovviamente, incide sull’assetto economico in quanto per il genitore assegnatario può realizzarsi un risparmio di spesa (dato che rimane nella casa a titolo gratuito), mentre l’altro genitore si troverà a dover sostenere spese abitative per prendere in affitto o acquistare di un altro immobile.

Dell’assegnazione della casa coniugale, dunque, si deve tener conto anche nella quantificazione del contributo al mantenimento dei figli.

Mantenimento diretto o assegno?

Generalmente quanto i genitori si separano viene stabilito un assegno mensile che il genitore che non convive con i figli deve versare all’altro genitore per contribuire al mantenimento dei figli.
La previsione dell’assegno, però, non è obbligatoria: in presenza di determinate condizioni, è possibile non prevedere il versamento dell’assegno, stabilendo che ciascuno dei genitori provveda in via diretta al mantenimento del figlio, facendosi carico delle spese che servono al figlio per il tempo in cui lo ha con sè. Si tratta del cosiddetto “mantenimento diretto“.

Questa soluzione richiede l’accordo delle parti e viene utilizzata quando vi siano determinati presupposti: ad esempio, quando i redditi dei genitori sono equivalenti ed il figlio trascorre tempi paritari con la madre ed il padre.

Quanto viene fissato, l’assegno mensile è soggetto a rivalutazione annuale, vale a dire deve essere aggiornato di anno in anno secondo gli indici di adeguamento ISTAT.

Le spese straordinarie

L’assegno periodico copre il mantenimento ordinario del figlio, vale a dire le spese che necessarie per il sostentamento e le altre spese di natura ordinaria, quali alimentazione, abbigliamento, calzature, spese di vitto ed alloggio, ecc.
A queste si aggiungono le spese straordinarie, ovvero quelle spese che sono legate a particolari esigenze di cura ed educazione dei figli e che hanno natura extra ordinaria, nel senso che non sono previamente prevedibili nè quantificabili e riguardano profili primari della crescita, della salute e della formazione del figlio. Queste spese, essendo imprevedibili ed imponderabili, non possono essere incluse nell’assegno mensile, ma vanno conteggiate e rimborsate separatamente.
Le spese straordinarie non sono specificate dalla legge. La giurisprudenza ha elaborato una serie di criteri di riferimento, che sono stati utilizzati per l’elaborazione di Linee guida – Protocolli applicativi in uso nei diversi Tribunali italiani, ed il cui scopo è fornire ai magistrati ed agli avvocati dei criteri uniformi per individuare le spese straordinarie, in modo da ridurre i possibili contenziosi sulla rimborsabilità o meno di alcune spese.

In generale, sono considerate spese straordinarie, tra l’altro, le spese mediche e specialistiche, comprese quelle odontoiatriche e oculistiche (ad esempio: ticket sanitari, prescrizioni terapeutiche, apparecchi correttivi, ecc.), le  spese per la scuola, l’istruzione e la formazione (ad esempio: tasse di iscrizione, dotazione libraria, materiale didattico, gite, attività integrative, ecc.), le spese per lo sport e per le attività ricreative.

Di norma, le spese straordinarie sono poste a carico di ciascun genitore in misura del 50%, ma è possibile anche prevedere che siano a carico di uno dei due in misura maggiore, così come è possibile suddividerle tra i genitori per tipologia di spesa. Ad esempio, può essere stabilito che la madre di faccia carico delle spese scolastiche e sportive e che il padre si faccia carico delle spese mediche, ecc.

L’interesse del figlio

La legge, dunque, non fissa criteri di calcolo specifici ed automatici, ma indica dei parametri valutazione al quale i genitori ed il giudice devono attenersi per ottenere la corretta quantificazione dell’assegno.

La quantificazione tiene conto dell’interesse primario del figlio e del suo diritto di crescere fruendo di risorse economiche adeguate alle proprie esigenze ed agli standard di vita della famiglia in cui è nato.

Danno da privazione genitoriale: il genitore assente deve risarcire il figlio

Gli obblighi genitoriali, cioè l’insieme dei doveri che gravano sui genitori, non si esauriscono nel mero dovere di mantenimento dei figli, ma comprendono anche l’altrettanto importante dovere di accudimento e di assistenza morale.

Il genitore non può sottrarsi a tali obblighi e, se lo fa, commette un illecito civile, e cioè viola le norme ed è tenuto a risarcire i danni subiti dal figlio in conseguenza del comportamento trascurante.

In termini tecnici, si parla di “danno da privazione genitoriale“, vale a dire delle conseguenze pregiudizievoli sulla vita del figlio determinate dall’assenza di uno dei genitori: la mancanza dell’apporto di uno dei genitori produce, infatti, gravi effetti negativi sulla crescita equilibrata e serena del figlio, poiché lede i diritti inviolabili della persona  tutelati dalla norme della Costituzione, specialmente, dagli articoli 2 e 30, e dalle norme di diritto internazionale recepito nel nostro ordinamento.
Il danno risarcibile rientra, dunque, nella sfera del danno non patrimoniale.

Il tema è stato recentemente affrontato dal Tribunale di Cassino nella sentenza n. 832 del 15.6.2016, con la quale è stata accolta la domanda di risarcimento danni formulata da una madre per conto della figlia minorenne, della quale il padre non si era mai occupato.

Nella vicenda decisa dal tribunale, il rapporto di paternità era stato dichiarato giudizialmente, da una precedente sentenza, e da allora il padre aveva provveduto al mantenimento della figlia, ma non si era mai attivato per instaurare un rapporto affettivo con la bambina, limitandosi ad incontrarla in rarissime occasioni.
Il Tribunale ha accertato che il padre era rimasto sostanzialmente assente dalla vita della figlia e, pur rispettando l’obbligo di mantenimento, non aveva fatto nulla per costituire un normale rapporto genitoriale.

La figura genitoriale paterna – osserva il tribunale – rappresenta un punto di riferimento fondamentale soprattutto nella fase della crescita. L’assenza di un genitore determina un’immancabile ferita nella vita del figlio e dunque incide in negativo sui diritti inviolabili del figlio stesso. Ciò determina in capo al genitore assente l’obbligo di risarcire il figlio.

L’ammontare del risarcimento, stante la natura di danno non patrimoniale del danno sofferto dal figlio, viene determinato dal giudice in via equitativa.

Nel caso in esame, il giudice ha liquidato il danno in 52.000 €, vale a dire 4.000€ all’anno, a decorrere dalla nascita della figlia.

La sentenza affronta anche il tema del mantenimento dei figli, precisando che detto obbligo sorge per il solo fatto della nascita e dunque va adempiuto fin da quel momento, indipendentemente dal tempo in cui interviene il riconoscimento della paternità.
L’obbligo di mantenimento trova la sua giustificazione nello status di genitore, sussiste per il solo fatto di avere messo al mondo il figlio e prescinde da qualsiasi domanda.

Fonte: Tribunale di Cassino sentenza n. 832/2016.