schermata grigia con domanda "Posso adottare una persona maggiorenne?"

Posso adottare una persona maggiorenne?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

L’adozione di persone maggiorenni è disciplinata dagli artt. 291 e segg. del Codice Civile, creati principalmente per permettere di costituire un rapporto di discendenza a chi non ha figli.

Se l’adottante ha figli maggiorenni, è necessario il loro consenso, insieme a quello del coniuge dell’adottante. È necessario, inoltre, il consenso dei genitori della persona da adottare, nonché, se coniugata, del coniuge.

La legge stabilisce che l’adottante debba avere almeno 35 anni (ma in casi particolari, il Tribunale può autorizzare l’adozione anche per chi abbia compiuto i 30 anni d’età). In ogni caso, l’adottante deve avere almeno 18 anni in più dell’adottato.

Una volta emesso il provvedimento di adozione, l’adottato acquista il cognome dell’adottante, anteponendolo al proprio, ed acquisisce i diritti successori nei confronti del medesimo, ponendosi nella medesima posizione degli eventuali altri figli.

Schermata a fondo verde con domanda "Sul lavoro mi stanno facendo pressione per indurmi al licenziamento. Come posso tutelarmi?

Mi stanno facendo pressione per licenziarmi. Come posso tutelarmi?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

Il lavoratore vittima di mobbing da parte di datore o colleghi può rivolgersi al tribunale, denunciando l’accaduto e chiedendo il risarcimento per il danno arrecato.

In particolare, in caso di minacce, molestie, maltrattamenti anche verbali, diffamazione e se il disagio vissuto dalla vittima ha assunto i connotati di un vero e proprio disagio psico-fisico, l’interessato può sporgere denuncia-querela per mobbing. Se le indagini confermeranno quanto esposto si darà inizio a un procedimento penale.

In sede civile, a prescindere dalla denuncia penale, l’interessato può chiedere il risarcimento dei danni subiti.

Bisogna però ricordare che allo stato attuale la legge non prevede un risarcimento ad hoc per il mobbing. Valgono quindi le regole generali per tutti i danni patiti dal lavoratore, patrimoniali e non patrimoniali.

Si può fare un accordo prematrimoniale?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

La sentenza n. 3777/81 della Corte di Cassazione ha sancito la nullità dei patti prematrimoniali per illiceità della causa.

Dal 2000 ci sono state alcune aperture, ad esempio con la sentenza n. 23713/2012 che ha riconosciuto la validità di un contratto con cui la futura moglie si impegnava a trasferire la proprietà di un immobile al coniuge (a titolo di indennizzo per le somme spese dallo stesso per ristrutturare l’edificio adibito poi a casa coniugale). Tuttavia, con la più vicina n. 2224/2017, la Corte di Cassazione ha nuovamente confermato la nullità degli accordi prematrimoniali per illiceità della causa.

Domanda "Dopo il divorzio ho iniziato una relazione. Posso presentare il nuovo partner a mio figlio?"

Relazione dopo divorzio. Posso presentare il nuovo partner a mio figlio?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

È regola di buon senso che la presenza di una nuova figura nella vita dei figli debba essere inserita con modalità non traumatiche e che rispettino la sensibilità dei figli, evitando la sovrapposizione dei ruoli.

Le clausole che alle volte vengono inserite negli accordi di separazione o di divorzio in cui si prevede l’obbligo per i coniugi di introdurre nuovi compagni in modo graduale nella vita dei figli, così come quelle che vietano i contatti per un certo periodo di tempo, non costituiscono un vero e proprio obbligo giuridico. Si tratta più che altro di un impegno morale che, se violato, non comporta l’applicazione di una sanzione, salvo che non abbia comportato gravi conseguenze pregiudizievoli sui minori.

Domanda "Il mio ex non paga il mantenimento: posso denunciarlo?"

Il mio ex non paga l’assegno di mantenimento: posso denunciarlo?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

Contribuire al mantenimento della moglie, anche divorziata, e dei figli è un obbligo che, se violato, espone al rischio di sanzioni penali ai sensi degli articoli 570 (violazione degli obblighi di assistenza familiare), 570 bis c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio) e 388 (violazione dolosa di provvedimento dell’autorità giudiziaria) del codice penale. È quindi possibile effettuare una denuncia.

Gli artt. 570 e 388 del codice penale si applicano anche in caso di mancato mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio.

Mio figlio maggiorenne lavora: devo versare l’assegno?

La risposta dell’Avvocato Barbara D’Angelo

Secondo la legge, i genitori sono obbligati a versare il mantenimento fino a che l’attività lavorativa del figlio maggiorenne consente a quest’ultimo di raggiungere l’indipendenza economica. In base a questo principio, la giurisprudenza ha ritenuto che nei casi in cui il figlio stia completando la sua formazione, oppure svolgendo un lavoro precario e limitato nel tempo, il genitore è tenuto ancora a versare l’assegno. Il genitore può essere, però, esonerato dal mantenimento del figlio disoccupato quando quest’ultimo sia inerte nella ricerca di un lavoro o prosegua gli studi senza rendimento.

Contributo al mantenimento dei figli: le spese straordinarie

L’assegno mensile, di cui abbiamo scritto nel precedente articolo sul contributo di mantenimento, copre il mantenimento ordinario dei figli, vale a dire le spese che sono necessarie al figlio per il sostentamento e per i bisogni ordinari (alimentazione, abbigliamento, spese di vitto ed alloggio, ecc.).

In aggiunta all’assegno mensile si pongono le cosiddette “spese straordinarie“, ovvero quelle spese che sono legate a particolari esigenze di cura ed educazione dei figli e che hanno natura straordinaria, nel senso che non sono previamente prevedibili nè quantificabili e riguardano profili primari della crescita, della salute e della formazione del figlio.

Queste spese straordinarie, per la loro natura e peculiarità, non possono essere incluse nell’assegno mensile, ma vanno conteggiate e rimborsate separatamente.

Al riguardo, la legge non specifica quali siano le voci di spesa straordinarie, ma la giurisprudenza della Cassazione ha più volte avuto occasione di precisare che “devono intendersi spese straordinarie quelle che, per la loro rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità, esulano dall’ordinario regime di vita dei figli”, chiarendo anche che non possono essere inserite nell’assegno mensile, poichè “la loro inclusione in via forfettaria nell’ammontare dell’assegno, posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dalla legge e con quello dell’adeguatezza del mantenimento, nonchè recare pregiudizio alla prole, che potrebbe essere privata di cure necessarie o di altri indispensabili apporti; pertanto, pur non trovando la distribuzione delle spese straordinarie una disciplina specifica nelle norme inerenti alla fissazione dell’assegno periodico, deve ritenersi che la soluzione di stabilire in via forfettaria ed aprioristica ciò che è imponderabile e imprevedibile, oltre ad apparire in contrasto con il principio logico secondo cui soltanto ciò che è determinabile può essere preventivamente quantificato, introduce, nell’individuazione del contributo in favore della prole, una sorta di alea incompatibile con i principi che regolano la materia” (cfr. Cass. civ. n. 9372/2012 e, più di recente, Cass. civ. n. 11894/2015).

Quali sono le “spese straordinarie”?

Manca una classificazione generale delle spese straordinarie: spesso nei provvedimenti giudiziari viene inserita una previsione assai generica che prevede il rimborso delle “spese straordinarie mediche non mutuabili, scolastiche, ludiche, ricreative e sportive“.

L’esame delle pronunce giurisprudenziale conferma che i tribunali non seguono criteri omogenei nella individuazione delle voci di spesa da considerarsi come straordinarie: ad esempio, le spese per cancelleria scolastica, pur essendo “spese scolastiche” sono da alcuni ritenute spese che rientrano nell’assegno mensile, in quanto spese routinarie e prevedibili, da altri spese straordinarie, ulteriori rispetto all’assegno mensile.
Interpretazioni differenti si hanno anche riguardo alle mensa scolastica, che alle volte viene considerata sostitutiva del pasto a casa e dunque inclusa nell’assegno, altre volte “spesa scolastica” e come tale non compresa nell’assegno mensile e da rimborsarsi separatamente.

Anche la nozione di “spese mediche” non è chiara: alcune spese mediche sono in genere comprese nelle spese ordinarie e dunque coperte dall’assegno mensile (ad esempio, l’acquisto di farmaci da banco) altre invece rientrano nelle spese straordinarie (ad esempio, le visite specialistiche, i trattamenti ortodontici, ecc. ).
Che cosa comprendono, poi, le spese ricreative? Sicuramente i corsi di musica o la vacanza all’estero che i figli fanno da soli. Ma comprendono anche la festa di compleanno, il regalo di compleanno per gli amichetti, le ricariche telefoniche?

I dubbi sono molti. E di conseguenza sono molte le occasioni di conflitto tra i genitori separati in relazione al concorso alle spese straordinarie.

Allo scopo di prevenire il contenzioso, la prassi giurisprudenziale ha elaborato una serie di criteri di riferimento, trasfusi nei Protocolli applicativi in uso nei diversi Tribunali italiani.
Lo scopo dei Protocolli è sostanzialmente quello di fornire dei criteri oggettivi, al fine di rendere più agevole l’applicazione delle regole fissate nei provvedimenti di separazione, divorzio o di regolamentazione della responsabilità genitoriale sui figli nati fuori dal matrimonio, scongiurando, per quanto possibile, l’insorgere di ulteriori contrasti tra i genitori separati.

Le spese straordinarie devono essere concordate?

Secondo l’orientamento interpretativo tradizionale, le spese straordinarie debbono essere tutte previamente concordate, in quanto si tratta di spese che attengono decisioni relative alla crescita, alla salute, all’educazione ed alla formazione scolastica dei figli, scelte di vita di primaria importanza, sulle quali entrambi i genitori hanno il diritto di esprimere la loro opinione.

Fanno eccezione soltanto le spese mediche urgenti ed indifferibili, le quali, per loro stessa natura, possono prescindere dall’accordo dei genitori, riguardando una situazione di emergenza nella quale prevale in assoluto l’interesse alla salute del figlio.

Non mancano, tuttavia, sentenze che chiariscono che anche le spese scolastiche e le spese mediche non richiedono il previo accordo di entrambi i genitori, atteso che si tratta di spese imprescindibili, come tali ritenute di per sé necessarie alla sana crescita psico-fisica dei figli e rispondenti al loro prioritario interesse.

Le spese straordinarie secondo il Protocollo del Tribunale di Bologna

Da qualche mese il Tribunale di Bologna si è dotato di un nuovo Protocollo sulle spese straordinarie, nel quale sono state specificamente indicate le voci di spesa che devono essere considerate come “spese straordinarie” e, soprattutto, chiarito quali spese debbano essere concordate preventivamente e quali non richiedano invece il preventivo accordo.

Il Protocollo stabilisce innanzitutto quali siano le spese che sono ricomprese nell’assegno mensile, precisando che si tratta delle spese necessarie alla soddisfazione delle esigenze primarie di vita dei figli, ovvero vitto, alloggio, abbigliamento ordinario, mensa scolastica e spese per l’ordinaria cura della persona.
Le altre spese, diverse da quelle specificate sopra, sono considerate tutte spese straordinarie.
Il Protocollo del Tribunale di Bologna specifica che alcune spese straordinarie non devono essere concordate preventivamente, in quanto sono ritenute rispondenti in via generale all’interesse dei figli.
Più esattamente, secondo il Protocollo, non devono essere concordate le seguenti spese:
a) le spese corrispondenti a scelte già condivise dei genitori e dotate della caratteristica della continuità.
A titolo esemplificativo: spese mediche precedute dalla scelta concordata dello specialista, comprese le spese per i trattamenti e i farmaci prescritti; spese scolastiche costituenti conseguenza delle scelte concordate dai genitori in ordine alla frequenza dell’istituto scolastico; spese sportive, precedute dalla scelta concordata dello sport (incluse le spese per l’acquisto delle relative attrezzature e del corredo sportivo); spese ludico-ricreativo-culturali, precedute dalla scelta concordata dell’attività (incluse le spese per l’acquisto delle relative attrezzature). In relazione a queste spese, le quali, com’è evidente, costituiscono la prosecuzione di decisioni già condivise dai genitori prima della separazione, è possibile la revoca da parte di uno dei genitori del consenso già prestato qualora intervenga, a causa o dopo lo scioglimento del rapporto, un cambiamento della condizione economica in senso peggiorativo, che renda la spesa eccessivamente gravosa e non più sostenibile. Il cambiamento dovrà essere dimostrato.
b) campi scuola estivi, baby sitter, pre-scuola e post-scuola, se imposti dalle esigenze lavorative del genitore collocatario e se il genitore non collocatario, anche mediante la rete famigliare di riferimento (nonni, ecc.), non offra tempestive alternative;
c) spese necessarie per il conseguimento della patente di guida;
d) abbonamento ai mezzi di trasporto pubblici;
e) spese scolastiche di iscrizione e dotazione scolastica iniziale, come da indicazione dell’istituto scolastico frequentato; uscite scolastiche senza pernottamento;
f) visite specialistiche prescritte dal medico di base; ticket sanitari e apparecchi dentistici o oculistici, comprese le lenti a contatto, se prescritti; spese mediche aventi carattere d’urgenza.

Tutte le altre spese straordinarie, invece, devono essere concordate tra i genitori.
Al riguardo, il Protocollo del Tribunale di Bologna specifica le modalità di comunicazione della spesa e del consenso, prevedendo che il genitore che propone la spesa debba informare l’altro per iscritto (con raccomandata, fax o e-mail), comunicando tipologia ed entità della spesa. L’altro genitore dovrà comunicare, sempre per iscritto, il proprio assenso o il diniego, motivandone le ragioni. Il mancato riscontro alla comunicazione del genitore richiedente entro trenta giorni, fa scattare la presunzione del consenso. Questa regola ha lo scopo di evitare che uno dei genitori possa sottrarsi alla spesa, semplicemente ignorando la comunicazione inviata dall’altro.

Qual è la percentuale del contributo di ciascuno dei genitori nelle spese straordinarie?

La contribuzione alle spese straordinarie è, dunque, separata rispetto al versamento dell’assegno mensile. Solitamente, viene previsto un riparto delle spese straordinarie al 50% tra i genitori, ma non mancano casi nei quali il contributo alle spese straordinarie è attribuito in misura differenziata a ciascuno dei genitori (a titolo esemplificativo, 70% e 30%) ovvero integralmente a carico di uno solo dei genitori, qualora vi sia una notevole differenza tra le condizioni economiche dei genitori, e ciò in conformità al principio di proporzionalità che sorregge il concorso al mantenimento dei figli.

Quali sono le modalità di rimborso?

Quasi mai nei provvedimenti della separazione, del divorzio o della regolamentazione della responsabilità genitoriale sui figli nati fuori dal matrimonio sono fissate le modalità di rimborso delle spese straordinarie. Ciò è spesso motivo di conflitto tra i genitori.

Ovviamente il rimborso potrà avvenire soltanto dietro esibizione della documentazione che comprova che la spesa sia stata effettivamente sostenuta e la sua concreta entità.

Nel nuovo Protocollo del Tribunale di Bologna sono state indicate in modo dettagliato le modalità di rimborso: il genitore che ha anticipato la spesa deve chiedere il rimborso in prossimità della spesa, allegando la documentazione dell’esborso. E’ stabilito che il rimborso avvenga tempestivamente e non oltre quindici giorni dalla richiesta, salvi diversi accordi tra i genitori.

La documentazione fiscale dovrà essere intestata ai figli, ai fini della corretta deducibilità, al 50% ciascuno in capo ai genitori.

Inoltre, è previsto che gli eventuali rimborsi e/o sussidi disposti dalla Stato e/o da altro ente pubblico o privato per spese scolastiche e/o sanitarie relative alla prole vanno a beneficio di entrambi i genitori nella stessa quota proporzionale di riparto delle spese straordinarie.

Contributo al mantenimento dei figli: l’assegno mensile

Il dovere di mantenimento dei figli è sancito dall’art. 30 della Carta costituzionale (“è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio“) ed ulteriormente specificato dagli artt. 315 bis e 316 bis c.c., come modificati dalla legge 219/2012, con la quale sono state unificate le norme in materia di filiazione, sulla scorta del principio della identità dello stato giuridico dei figli, a prescindere dalla circostanza che siano nati da genitori uniti in matrimonio o meno.

La regola cardine è il principio di proporzionalità.

Più esattamente, il primo comma dell’art. 315 bis c.c. sancisce che “il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito ed assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni“.

L’art. 316 bis c.c., titolato “Concorso nel mantenimento“, stabilisce al primo comma che “i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo“, specificando, nei successivi commi, che, in caso di insufficienza delle risorse economiche dei genitori, gli ascendenti sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari per provvedere all’obbligazione di mantenimento.

L’obbligo di mantenimento è parte integrante della responsabilità genitoriale, ovvero dell’insieme di diritti e doveri che competono ai genitori e che sorgono per il solo fatto della procreazione, dall’aver messo al mondo il figlio. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha chiarito che si tratta di doveri e obblighi indisponibili, vale a dire che non possono essere derogati per volontà dei soggetti interessati, poiché sono finalizzati al pieno sviluppo della personalità del figlio (cfr. inter multis, Cass. civ. 26.5.2004, n. 10102).

L’interpretazione giurisprudenziale ha inoltre sottolineato che l’obbligo di mantenimento dei figli impone di provvedere non soltanto ai bisogni strettamente alimentari della prole, ma a tutte le necessità di cura ed educazione dei figli, e dunque alle esigenze abitative, scolastiche, sanitarie, sociali, ricreative, sportive ecc., ovvero a tutto ciò che serve al figlio per crescere.

Il criterio di riferimento principale per la ripartizione degli oneri di mantenimento dei figli in capo ai genitori è, dunque, il principio di proporzionalità: ciascuno dei genitori è tenuto a provvedere in proporzione alle rispettive sostanze e dunque ai redditi ed al patrimonio, nonchè alla capacità di lavoro, professionale o casalingo.

Tale principio, acclamato dall’art. 316 bis c.c. già citato, è ribadito dall’art. 337 ter c.c. che regola l’esercizio della responsabilità genitoriale a seguito della separazione dei genitori e dell’interruzione della convivenza di fatto.

I parametri di quantificazione dell’assegno mensile.

L’art. 337 ter c.c. da un lato disciplina l’affidamento dei figli, prevedendo come regola generale l’affidamento condiviso del figlio ad entrambi i genitori, dall’altro ribadisce che “ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito” ed elenca i parametri di riferimento nella quantificazione del contributo mensile per il mantenimento dei figli. Si tratta, più esattamente, dei seguenti parametri:

     1) le attuali esigenze del figlio;

     2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;

     3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;

     4) le risorse economiche di entrambi i genitori;

      5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

La norma in esame, inoltre, stabilisce l’automaticità dell’adeguamento ISTAT dell’assegno mensile, derogabile soltanto qualora vengano stabiliti altri parametri dalle parti o dal giudice.

L’assegnazione della casa coniugale e il suo peso economico.

Ulteriore elemento di rilievo economico, ai sensi dell’art. 337 sexies c.c., è costituito dall’assegnazione della casa dove la famiglia ha vissuto fino alla disgregazione del nucleo. Per legge, in caso di separazione dei genitori la casa familiare dev’essere assegnata al genitore convivente con i figli, e ciò risponde all’esigenza prioritaria di tutelare i figli e garantire loro la conservazione dell’ambiente domestico e di vita nel quale sono vissuti fino alla separazione dei genitori, evitando loro ulteriori traumatici cambiamenti.

La norma citata stabilisce che dell’assegnazione della casa familiare si debba tenere conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà.

In buona sostanza, l’assegnazione dell’ex casa familiare consente ad uno dei genitori di rimanere a viverci con i figli, disponendo dell’immobile e di tutti i mobili e gli arredi ivi presenti, anche se di proprietà esclusiva dell’altro genitore. Ciò ovviamente incide sull’assetto economico in quanto per il genitore assegnatario si realizza un risparmio di spesa (dato che rimane nel domicilio familiare a titolo gratuito), mentre l’altro genitore si troverà a dover sostenere spese abitative per la locazione o l’acquisto di un altro immobile in cui si trasferirà a vivere.

Per altro verso, qualora il genitore collocatario dei figli rinunci all’assegnazione dell’ex casa familiare si realizza un vantaggio economico per l’altro genitore, proprietario dell’immobile, il quale può continuare a fruirne senza dover sostenere ulteriori spese abitative, ed uno svantaggio per il primo genitore, che dovrà farsi carico delle spese necessarie per disporre di una propria sistemazione abitativa.

Non vi sono criteri di calcolo specifici per il mantenimento dei figli, ma parametri indicativi.

La legge, dunque, non fissa criteri di calcolo specifici ed automatici, ma indica dei parametri valutazione al quale i genitori e il giudice devono attenersi per ottenere la corretta quantificazione dell’assegno mensile. Ed il criterio di correttezza attiene all’interesse primario del figlio e al diritto del medesimo di crescere fruendo di risorse economiche adeguate, oltre che alle proprie esigenze, agli standard di vita della famiglia in cui è nato.

Sulla base dei parametri di legge alcuni Tribunali italiani hanno elaborato dei modelli di calcolo: il Tribunale di Firenze, insieme alla Facoltà di Economia, ha elaborato un Modello per calcolare l’assegno di mantenimento (MoCAM) ed il Tribunale di Monza, ha predisposto nel 2008 delle Tabelle (acquisite quale strumento di riferimento in numerosi tribunali) che riassumono le ipotesi più ricorrenti e le possibili soluzioni con riferimento all’assegno di mantenimento del coniuge e dei figli.

Tali tabelle, in particolare, portano all’individuazione di un criterio di liquidazione indicativo dell’assegno pari ad un terzo del reddito presunto del genitore tenuto al versamento dell’assegno, nell’ipotesi in cui non vi sia stata assegnazione della casa familiare in favore del genitore convivente. L’importo così ottenuto va, poi, modulato, tenendo conto della complessiva situazione patrimoniale delle parti; il reddito è, infatti, soltanto uno dei dati da considerare nella quantificazione dell’assegno mensile.

Il Tribunale di Bologna non ha elaborato sistemi di calcolo tabellari, rimettendo la valutazione alla discrezionalità dei singoli magistrati, ma in generale, dalle decisioni in materia di separazione, divorzio e regolamentazione della responsabilità genitoriale dei figli nati fuori dal matrimonio, si può ricavare ad una proporzione dell’ammontare dell’assegno rispetto ai redditi del genitore tenuto al versamento in linea con i parametri indicati dalle tabelle di Monza.

Fino a quando è dovuto l’assegno mensile di mantenimento?

L’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio tramite assegno mensile non cessa con il raggiungimento della maggiore età da parte del figlio, ma permane anche oltre, fino a che il figlio non abbia raggiunto l’autosufficienza economica.

Il concetto di autosufficienza è, peraltro, un concetto assai relativo che – secondo l’interpretazione della giurisprudenza – si verifica con la percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita e in grado di consentire al figlio un tenore di vita dignitoso, con prospettive concrete, anche in relazione alla propria specializzazione e formazione (da ultimo si veda Cass. civ. 20/12/2017, n. 30540: “Il contributo al mantenimento per il figlio maggiorenne  non cessa automaticamente ma continua fino a che il genitore contribuente non dimostri che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica o che la mancata autonomia dipenda dalla sua colpevole inerzia, intendendosi con ciò, sostanzialmente, l’ingiustificato rifiuto di occasioni lavorative ordinarie”).

 

L’assegno mensile può essere versato direttamente al figlio maggiorenne?

La nuova formulazione dell’art. 337 septies c.c. rimette al giudice la facoltà di prevedere la corresponsione diretta dell’assegno mensile al figlio maggiorenne. Ciò esclude che il genitore possa autonomamente iniziare a versare l’assegno in via diretta al figlio.

Dovrà, pertanto, esserci l’accordo anche dell’altro genitore, che autorizzi il versamento diretto dell’assegno a mani del figlio.

Se il figlio lascia il lavoro, non può pretendere di essere mantenuto dai genitori

Se il figlio maggiorenne lascia un lavoro a tempo indeterminato non può chiedere che al suo mantenimento provvedano i genitori.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione in una recentissima sentenza, affrontando la vicenda di un padre che chiedeva la revoca dell’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia, la quale, già da tempo maggiorenne, aveva lasciato un posto di lavoro a tempo indeterminato optando per un lavoro a tempo determinato.

La Cassazione ha ritenuto corretta la decisione dei giudici dell’appello, i quali da un lato avevano valutato che l’età della figlia era elemento sufficiente ad escludere che dovesse essere ancora mantenuta dai genitori, dall’altro avevano ritenuto che la scelta di lasciare un posto di lavoro a tempo indeterminato non facesse rinascere l’obbligo di mantenimento in capo ai genitori.

Al riguardo, l’orientamento della giurisprudenza, oramai consolidato, è il seguente: una volta raggiunta la capacità lavorativa e l’indipendenza economica, la successiva perdita dell’occupazione non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento. Nello stesso senso la Corte di Cassazione si è espressa più volte  (v. sentenze n. 1761 del 2008, n. 26259 del 2005).

Fonte: Corte di Cassazione sentenza n. 6509 del 14.3.2017

Parto anonimo: il figlio ha diritto a conoscere le proprie origini

La Cassazione si è pronunciata a Sezioni Unite su una questione particolarmente delicata che vede contrapposto il diritto del figlio abbandonato alla nascita a conoscere le proprie origini ed il diritto della madre a rimanere nell’anonimato.
Con la sentenza n. 1946 pubblicata il 25 gennaio scorso, i giudici della Cassazione hanno stabilito che se il figlio manifesta il desiderio di conoscere le proprie origini, il giudice deve interpellare la madre, per verificare se intenda ribadire o meno la volontà di rimanere anonima manifestata al momento della nascita.
La madre dovrà essere sentita attraverso un procedimento che garantisca la massima riservatezza, secondo le prassi già in uso in alcuni tribunali italiani. Il diritto del figlio di accedere alle informazioni sulla propria origine e sull’identità dei genitori biologici non può essere sacrificato aprioristicamente soltanto perchè la madre al momento del parto ha dichiarato di voler rimanere anonima: non si può, infatti, dare per scontato la madre, a distanza di tempo, intenda conservare l’originaria scelta dell’anonimato.
Soltanto le caso in cui la madre confermi la volontà di rimanere anonima, il diritto del figlio di conoscerla verrà compresso. In caso contrario, il figlio potrà ricevere le informazioni sull’identità della madre.
Si realizza in questo modo un giusto bilanciamento tra il diritto alle origini del figlio ed il diritto all’oblio della madre.

Il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini

La legge 184 del 1983 in materia di adozioni, consente alla persona adottata di poter accedere alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei genitori biologici mediante un particolare procedimento.
La domanda può essere presentata dall’adottato dopo il raggiungimento dei 25 anni d’età (a partire dai 18 anni se vi sono gravi motivi di salute fisica o psichica). Giudice competente è il tribunale per i minorenni del luogo di residenza del richiedente.
Nel procedimento, il tribunale per i minorenni verifica, mediante l’ascolto del diretto interessato e ai altre persone, secondo opportunità, ed eventualmente mediante indagine sociale le possibili conseguenze sull’equilibrio psico-fisico del richiedente. Una volta accertato che l’accesso alle notizie sull’origine e sui genitori biologici non reca turbativa all’equilibrio psico-fisico del richiedente, il tribunale per i minorenni autorizza l’accesso alle notizie richieste.
La legge stabilisce, però, che l’accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia scelto l’anonimato, con apposita dichiarazione resa alla nascita (art. 28, ottavo comma, legge 184/83).

L’incostituzionalità della norma

Sulla norma citata si è pronunciata nel 2013 la Corte Costituzionale (sentenza n. 278/2013) dichiarandone l’incostituzionalità nella parte in cui escludeva in maniera irreversibile la possibilità del figlio di accedere alle informazioni sulla madre.
La sentenza della Corte Costituzionale è giunta dopo la condanna inflitta all’Italia dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo nel caso Godelli (caso Godelli contro Italia sent. CEDU 25.9.2012): la Corte di Strasburgo aveva giudicato la normativa italiana contraria all’art. 8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo per il mancato bilanciamento dei due contrapposti interessi – quello del figlio di conoscere le origini e quello della madre di rimanere anonima – , in quanto vietando al figlio di avere informazioni sulla propria origine in caso di parto anonimo veniva privilegiato il diritto materno all’oblio.

Il vuoto normativo e le prassi diversificate nei tribunali

La dichiarazione di incostituzionalità della norma avrebbe dovuto essere colmata dal legislatore, che tuttavia non è ancora intervenuto: il progetto di legge è fermo in Commissione Giustizia alla Camera.
E così, nei diversi tribunali per i minorenni erano state attuate prassi difformi: alcuni ammettevano che, alla richiesta del figlio di conoscere l’identità della madre, la madre che aveva chiesto l’anonimato al momento del parto potesse essere interpellata dal giudice, per verificare che la volontà di non essere nominata fosse ancora attuale; altri tribunali, seguendo una interpretazione più formalistica, negavano questa possibilità, poiché non espressamente prevista dalla legge.

La decisione della Cassazione a Sezioni Unite

Nel contesto sopra delineato è intervenuta la Cassazione a Sezioni Unite. La recente sentenza fa chiarezza ed uniforma l’interpretazione: il diritto della madre all’oblio e quello del figlio a conoscere le proprie origini vanno adeguatamente contemperati.
Il figlio ha diritto di conoscere le proprie origini e il suo diritto non può essere sacrificato e compresso per il fatto che la madre, al momento del parto, ha dichiarato di rimanere anonima.
Il giudice deve interpellare la madre e verificare l’attuale volontà della medesima: non può infatti essere escluso a propri che la madre, a distanza di tempo, desideri revocare la scelta iniziale dell’anonimato. La madre va ascoltata con modalità adeguate ad assicurare la massima riservatezza.
Il figlio non potrà accedere alle proprie origini nel caso in cui la madre confermi di voler rimanere anonima: il diritto del figlio trova un limite invalicabile nella conferma della volontà dell’anonimato da parte della madre.

Fonte: Cass. civ. Sez. un. sentenza n. 1946 del 25.1.2017